Gianni Ferrara era un uomo di parte: si è sempre schierato dalla parte della costituzione. Potremmo dire che l’ha servita «con disciplina e onore».

Era anche un combattente, sapeva che le costituzioni sono solo pezzi di carta se non vengono sostenute dall’impegno, la responsabilità e la forza di ognuno di noi. Per questo non ha mai smesso di lottare in nome della costituzione; ovvero, come egli stesso amava ripetere, «per una certa idea di costituzione».

Non pensava alla Carta fondamentale solo come ad un insieme di regole e limiti ai poteri, ma riteneva che essa contenesse un progetto politico di emancipazione sociale.

Per questo, con passione e severità, contrastava tutti i tentativi che hanno provato ad attenuare la carica «rivoluzionaria» presente nei principi costituzionali (seguendo l’idea di Pietro Calamandrei di una costituzione come «rivoluzione promessa»).

Come voler dire: l’obiettivo dell’eguaglianza sostanziale (di cui al nostro articolo 3, secondo comma) non può essere eluso o limitato; i diritti fondamentali dell’uomo (di cui all’articolo 2) rappresentano un obbligo inderogabile per la società solidale; il lavoro come fondamento effettivo della Repubblica deve conformare tutti i rapporti civile per dare dignità sociale alle persone (articoli 1 e 4).

Gianni Ferrara

Non sopportava gli indifferenti, credeva anch’egli come Gramsci che «vivere voglia dire essere partigiani». Partigiano, ma mai fazioso.

Proprio la necessità di affermare nei termini più intransigenti la forza dei principi costituzionali imponeva un surplus di rigore, e richiedeva una forte dose di realismo.

Soprattutto nei tempi più recenti denunciava con costanza e con sempre più evidente preoccupazione la crisi del costituzionalismo democratico moderno.

Non era tenero nei confronti di chi cercava di piegare le ragioni della costituzione agli interessi politici del momento. Una «letteratura rosa», amava ripetere, che non riesce a fare altro che costruire «monumenti di insipienza giuridica».

Si è sempre opposto a tutti i revisionismi costituzionali che hanno tentato, per decenni, di stravolgere l’assetto dei poteri, in nome di una governabilità che celava una volontà di concentrare nelle mani di esecutivi le leve di comando e ridurre le garanzie dei diritti delle persone più fragili.

Aveva una forte consapevolezza storica e una profonda conoscenza teorico-filosofica. Ciò gli ha permesso di inquadrare gli avvenimenti politici entro una prospettiva di più lungo periodo.

Da un lato, senza abbandonarsi mai alla delusione del momento; dall’altro, senza mai illudersi troppo. Sapeva bene che la crisi che stiamo vivendo rappresenta un difficile passaggio epocale che richiede una non facile opera di ricostruzione.

Le sue riflessioni guardavano alla storia più che alla cronaca, e le rendevano «inattuali». Una distanza che dovremmo recuperare anche noi, travolti come siamo dalle ansie del presente, poco propensi a cimentarci con pensieri lunghi e profondi.

Gianni Ferrara è stato una tra i più autorevoli costituzionalisti italiani. Autore raffinato, ha saputo portare anche nelle riflessioni più accademiche la sua passione civile. In tutti i suoi scritti emerge la chiara propensione ad analizzare realisticamente i rapporti giuridici, gli organi costituzionali e le figure istituzionali, alla ricerca del sostrato materialistico che possa dare senso e sostanza alle indagini dogmatiche degli studiosi.

Promotore di una visione della scienza non separata dalla vita, che sia invece in grado di fornire le coordinate per realizzare una solida democrazia costituzionale.

Un giurista che non si accontentava del rigore formale delle analisi, ma si interrogava costantemente sul fondamento reale delle interpretazioni fornite, considerando sempre decisiva la loro funzione sociale, politica ed economica. La scienza ha le sue responsabilità e gli scienziati la propria dignità.

Anche come politico Ferrara non ha mai smentito il suo ruolo di studioso attento ai diritti e fautore di una più avanzata democrazia costituzionale. Diede anche prova di come si possa intervenire sulla costituzione con un’opera di incisivo riformismo promosso in nome dei valori e dei principi della Carta del 1948.

Assieme a Stefano Rodotà provò a rilanciare le ragioni del Parlamento già allora in sofferenza, proponendo il passaggio al monocameralismo. Rimase inascoltato e del rigore costituzionale si perse traccia, sommerso dal revisionismo sconclusionato che ha portato solo progressivi arretramenti per i diritti e svilito i luoghi della rappresentanza politica.

Avremmo dovuto ascoltarlo di più. Ci mancherà la sua voce appassionata.