Gary Numan non è nuovo alla creazione di concept album dalle architetture gotico-distopiche ma Savage (Songs From A Broken World) suona come il più contemporaneo e realistico mai realizzato fino ad ora dal britannico. Ispirato dai cambiamenti climatici e dall’ascesa al potere di Trump, Numan immagina un futuro desertico, con una precisione di scrittura quasi cinematografica (così come nel caso della solenne Broken) una sorta di post Trumpocalypse dove i rimasugli della civiltà «vivono in un Inferno, spazzato dal vento, che nemmeno Dio ricorda». A tratti, brani come What God Intended sembrano riportarci alle prestazioni robotiche dei suoi anni ’70 ma la necessità di urlare la desolazione di oggi riesce nel miracolo di far incontrare i cari vecchi synth con l’industrial, le chitarre metal e un canto che assomiglia di più al lamento di un muezzin che al melodioso automa di album leggendari come Are Friends Electric Cars.