Una cava di marmo a balze, con un’apertura in alto, luogo impervio color cemento, da cui pulsa la musica live: il compositore è alla consolle, il ritmo inesorabile, preme, focoso, nei corpi dei danzatori che affollano sempre più numerosi lo spazio.È l’impatto sonoro e visivo che accoglie il pubblico del Teatro Malibran per l’ultimo spettacolo della Biennale Danza di Venezia diretta da Wayne McGregor: Room with a View, opera commissionata dallo Châtelet di Parigi, in prima nazionale a Venezia, a firma Erwan Castex, alias Rone, nome di punta della musica elettronica francese, e del battagliero collettivo di artisti La(Horde), composto da Marine Brutti, Jonathan Debrouwer e Arthur Harel, graffiante guida dal 2019 del Ballet National de Marseille. Compagnia storica, rinnovata a piene mani da La(Horde) con danzatori giovanissimi, una comunità di persone dall’identità forte che si serve della potenzialità conoscitiva della danza e del corpo per scuotere dall’interno il nostro tempo. Il titolo, «Stanza con vista» non inganni: nessuna reminiscenza romantica, nella stanza ci siamo noi pubblico; la vista, che è la scena, è apocalittica, anzi, tragicamente, realistica perché ha il potere di sbatterci in faccia in pochi attimi gli estremi più crudi del vivere oggi. Tra i piani a balze della cava non c’è respiro: coppie si violentano a turno, strangolamenti, violenza, il peggio della nostra società sfinita, «a vista», anche se preferiremmo voltare altrove testa e pensiero. A un tratto un boato, sassi cadono a pioggia dal soffitto, la cava crolla, metafora di un mondo in rovina.

LA MUSICA di e con Rone è tagliente, ma anche a tratti paurosamente ultraterrena, esplode anche da una consolle a terra tra persone che corrono, danzano in un vortice di salti mortali, cadute, imprecazioni, abbracci, spinte. Costumi coloratissimi per una tribù composta da diversità inizialmente in lotta, che tuttavia in modo magmatico, asimmetrico, viaggiano verso una dolente, rivoluzionaria identità collettiva. Appare all’improvviso nel danzare in cerchio, in un canto di protesta detto all’unisono verso il pubblico, nel battersi il petto furiosamente in gruppo, mandando tutto il mondo a farsi fottere.
Room with a View è uno spettacolo urgente, animato da un’energia di denuncia, dove la paura si intreccia, sanguinante, con la speranza. Per anni ci hanno commosso e scosso i grandi affreschi corali di autori del teatrodanza come Alain Platel, Pina Bausch; Room with a View guarda la realtà con lo sguardo acceso delle giovani generazioni e nuovamente ci tocca. Standing ovation dal pubblico variegato del Malibran, successo unanime di un titolo che innesca aspettative sul futuro del Ballet National de Marseille targato La(Horde).

Oona Doherty, Leone d’Argento, in Hard to be Soft. A Belfast Prayer – courtesy La Biennale di Venezia (foto di Andrea Avezzù) fo

PER IL LEONE D’ARGENTO, Wayne McGregor e la Biennale hanno puntato su Oona Doherty, trentacinquenne danzatrice e coreografa nordirlandese, in scena con Hard to be Soft – A Belfast Prayer, pezzo politico legato alla biografia dell’artista, un lavoro che di Doherty rivela oltre l’impegno la sua qualità performativa: trabocca di umanità nel farsi racconto di donne e uomini, una linea morbida che d’impulso muta, acquisendo rudezza, forza, permeabilità, leggerezza. Una presenza che esplora la società con spirito democratico, anti-gerarchico.
Nel weekend conclusivo del festival è tornato in scena il College: sei coreografi scelti da McGregor hanno firmato per i loro compagni danzatori cinque creazioni ispirate all’Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale. Un work in progress che ha messo in luce nelle talentuose nuove leve l’interesse fecondo per la scrittura coreografica e l’elaborazione dei linguaggi della danza. Plauso agli autori Mounir Saeed e Raymond Pinto e alla sottigliezza interpretativa di Viola Busi, Albert Carol e compagni, apprezzata anche nei pezzi di Crystal Pite e McGregor danzati dal College nel primo weekend.