Molto spesso la fortuna di un giallo o di un noir è affidata alla figura del protagonista. Da Sherlock Holmes a Maigret, da Nestor Burna a Philip Marlowe, che si tratti di un investigatore privato o di un poliziotto oppure, come nel caso della Miss Marple di Agatha Christie, addirittura di una vecchia signora, è lui, o lei, a prendere per mano il lettore e guidarlo lungo i meandri della storia.

FATTE SALVE le debite proporzioni rispetto ai personaggi appena citati, bisogna dire che Mario De Vito, giornalista del manifesto, è riuscito nella non facile impresa di creare una figura di detective inconsueta e davvero intrigante. Si tratta del commissario Francesco Santacaterina, di cui ha visto la luce la seconda indagine: Due minuti a mezzanotte (Fila 37, pp. 189, euro 14). Innanzi tutto Santacaterina è un ex spacciatore che si è ritrovato poliziotto praticamente per caso.

Naturalmente non possiede una preparazione specifica e quindi non si lascia guidare da nessun metodo particolare. Segue le proprie intuizioni e le proprie riflessioni, ma non è mai assolutamente sicuro di quello che fa, anzi il suo livello di autostima è piuttosto basso. Si sente un perdente, un fallito e quando la delusione, la depressione la sconfitta lo incalzano più da vicino si rifugia nell’alcol e nelle droghe. Laavora a San Benedetto del Tronto, dove in genere non succede nulla di eccezionale.

E a Santacaterina sembra star bene così. Come afferma lui stesso all’inizio del libro: «a San Benedetto avrei potuto condurre una vita tranquilla e lontana dai guai, risolvendo piccoli cas[…]i. Volevo solo scivolare tranquillamente nel mio mare di alcol a buon mercato e di marijuana, tra il bar sotto casa e il mio piccolo appartamento tranquillo». Naturalmente le cose non andranno così e il commissario Santacaterina si ritroverà coinvolto in una vicenda spinosa e dalle implicazioni inaspettate.

TUTTO HA INIZIO con il ritrovamento del cadavere di un giovane neofascista davanti a un centro di preghiera islamico. Subito la pacifica città si ritrova nell’occhio di un ciclone. Si scatenano tensioni, prende vigore l’odio contro i migranti, grazie soprattutto all’arrivo di un capopartito che «fino a pochi anni prima era un signor nessuno con delle idee da matto, ignorato da tutti e senza un grande peso nel dibattito politico», alle ultime elezioni, però, «era riuscito a quadruplicare i voti del suo partito soffiando sulle paure della gente».

E per di più la storia si complica andando a toccare anche fatti relativi a una guerra lontana, vedendo il coinvolgimento dell’antiterrorismo e di sporchi traffici. Insomma come in ogni buon noir Di Vito è perfettamente in grado di raccontare nel suo libro anche e soprattutto le contraddizioni, i conflitti, le porcherie che attraversano la realtà e la società contemporanea. Così come è capace di esprimere quel senso di sconfitta e di disperazione, pur con un quasi improbabile guizzo di speranza, tipico del genere.

Questo grazie soprattutto a una scrittura praticamente tutta in prima persona che, rifacendosi in maniera originale a precedenti illustri, è capace di esprimere quel senso di catastrofe, impregnato al contempo di moralità e di disillusione, quell’atmosfera di fine imminente evocato anche dal titolo. Il riferimento, come nel caso dell’omonima canzone degli Iron Maiden, è all’orologio dell’apocalisse che scandiva il tempo verso la fine del mondo causata da una guerra atomica e che arrivò al massimo appunto fino a due minuti a mezzanotte.