Il progetto di Blast, del disegnatore francese Manu Larcenet, prevede più volumi e da poco l’autore ha concluso e dato alle stampe il terzo, pubblicato in Francia da Dargaud. Il protagonista è Polza Mancini, un grasso, orribile, alcolizzato clochard, che nel primo volume, sottotitolato Grassa carcassa, si risveglia in una cella con un’accusa orrenda. Il termine Blast, titolo dell’impegnativa opera, è inteso nel significato di «stato allucinatorio» che, come una luce divina, consente a Polza di rivedere e rivivere frammenti della propria tormentata esistenza.
Alle domande dei poliziotti risponde raccontando le proprie visioni con l’aggiunta di riflessioni psicologiche dal tono a dir poco drammatico. Polza ha fatto qualcosa di terribile e le prove contro di lui non lasciano scampo. Attraverso un serrato interrogatorio, i due investigatori tentano di raccogliere i pezzi che mancano per mettere insieme una spiegazione, per trovare un motivo e un senso a quanto è accaduto, che appare immediatamente come qualcosa di disgustoso e spaventoso.
Polza è impressionante fin dal suo apparire, esageratamente obeso, il volto indecifrabile è incassato tra spalle curve e deboli. «Quanto devi odiarti per ridurti così?», dice uno dei poliziotti quando lo vede. E l’uomo esprime questo odio con grande efficacia. Racconta la storia di un apocalisse personale che proseguirà anche nei volumi successivi, il tormentato rapporto con sé stesso, con la società e con l’idea del decadimento e della morte. La narrazione procede sistematicamente attraverso i ricordi indotti dal Blast, visione allucinata e frammentaria ma anche unica fonte rivelatrice di una vita talmente cruda e violenta da sembrare irreale. In questo modo Polza, che è stato un noto gastronomo e autore di libri di cucina di notevole successo, rivede se stesso, ricostruisce i motivi che hanno prodotto in lui l’allontanamento dagli uomini e dal mondo. Il viaggio nel lato oscuro dell’anima svela a poco a poco il mistero. Dalla morte del padre, ai numerosi episodi di violenza subita, per finire all’accusa di aver fatto del male a una donna, riducendola in coma. Episodi che prendono forma attraverso un lungo sguardo allucinato e frammentario sulla propria esistenza.
Nel secondo volume, Blast vol. 2. L’Apocalisse secondo San Jacky (Coconino press 2013, trad. di Francesca Scala, pp. 204, euro 21), il racconto, sempre allucinato, si arricchisce di altri episodi. Alla stazione di polizia perviene la notizia della morte della donna, della cui aggressione Polza Mancini è accusato. Entra in scena un personaggio complesso e inquietante, in grado di reggere il confronto con Polza. Si tratta di San Jacky, uno spacciatore di campagna che promette l’Apocalisse con droga e sostanze allucinogene illegali che commercia vagando di notte da villaggio in villaggio, per poi rifugiarsi in una sorta di tana sotterranea piena di libri. Qui Polza, dopo essere stato aggredito da San Jacky, viene curato e ospitato per un intero inverno, diventando amico e complice dello spacciatore. La situazione cambia quando Polza si rende conto che San Jacky è un folle assassino che stupra le donne e le uccide, così come ha ucciso la donna della cui morte egli è accusato. Ma questo non basta a scagionarlo. Occorreranno altre prove e nuovi Blast rivelatori, presumibilmente oggetto della narrazione dei volumi successivi, per capire quale sarà il destino di Polza Mancini.
La cosa più memorabile di questo secondo volume è l’atroce, affascinante, sporco, maledetto, doloroso, lungo, disperato monologo che Polza pronuncia ad uso dei poliziotti e dei lettori. Una resa dei conti finale che ha la potenza di un «viaggio al termine della notte» trascritto in un linguaggio contemporaneo, che si incastra perfettamente nel magnifico tratto grafico, espressionista essenziale ed orribile, di Manu Larcenet. «Mento sempre. Dico che non mi ricordo niente, che sono nato ieri. Ma mi basta chiudere gli occhi… Ogni schiaffo, ogni sfregio, ogni sguardo. Mi ricordo ogni vostra parola. Mi ricordo di come me le avete conficcate in corpo. Non importa quanto tempo è passato. Mi ricordo tutto. Sono un bambino ricoperto di piaghe riaperte all’infinito. Un bambino soffocato dal peso di ciò che ero, e che mille volte avete calpestato. Un bambino immobile, silenzioso, ricurvo. Quando mi parlavate osservavo le vostre labbra… Sconcertato dalla disinvoltura con cui usavate quello strumento di tortura. Per passare inosservato mi sono confuso con le pareti. Per essere risparmiato mi sono reso invisibile. Ho taciuto anziché sbranarvi a mia volta. In ogni istante ero colpevole di una misteriosa offesa alla vostra vista nauseata. Se mi guardo indietro vedo una vita di ferite e di aridità, dalla quale non ho imparato nient’altro che la rassegnazione. Eppure da questa vita schifosa emerge un dato di fatto intrigante, se ancora oggi sono capace di provare il desiderio e l’estasi allora vuol dire che devo essere invincibile. A volte mento. Dico che non mi ricordo niente. E invece niente si cancella, è chiaro. Dentro di me ribollo. Mi infiammo. Sono plumbeo, pesante, sudicio, però mi infiammo. Sono la limatura, la morchia, l’immondizia, i miasmi. Sono la sporcizia, la fuliggine che si incrosta sotto le unghie, sotto le palpebre, che si annida nei polmoni. La disperazione è come la prigione, la miniera o la fabbrica. Io però mi infiammo. E allora mento. Dico che non mi ricordo niente. Ma la mia storia è scritta nelle cicatrici. Mi basta esaminarmi la pelle. E mi torna in mente tutto».
Questo è Blast, volume secondo. Non dimenticatelo.