Parlare di umanizzazione di un sistema economico e sociale vuol dire soprattutto due cose: la prima è criticare radicalmente il sistema in vigore in nome di valori etico-morali universali traditi da quel sistema – tanto da attentare all’umanità delle persone. La seconda è ritenere il sistema in questione riformabile a partire da una re-incorporazione di quegli stessi valori al suo interno. Una tale posizione si muove all’interno di un nodo gordiano difficile da sciogliere: se un sistema è così compromesso da essere inumano, contiene davvero le risorse e le opportunità per essere riformato piuttosto che abbattuto completamente? Che cosa lo rende salvabile e, dunque, solo temporaneamente degenerato ma in fondo recuperabile?

ALL’INTERNO di queste strettoie – che sono quelle di qualunque cultura autenticamente e radicalmente riformista – si muove da anni l’opera di Mauro Magatti sul capitalismo contemporaneo: per il sociologo milanese il punto su cui reimpostare la globalizzazione è la riconciliazione della responsabilità con la libertà individuale, il limite con il desiderio, l’economia con la morale in modo da far emergere quelle capacità generative di futuro, di idee, di economie e di nuovi equilibri sociali, attivate in potenza dalla stessa globalizzazione. È all’interno di questo discorso generale che Magatti prova a riflettere sugli scenari che si aprono di fronte a noi dopo la grande recessione del 2007, nel suo ultimo libro Cambio di paradigma. Uscire dalla crisi pensando il futuro (Feltrinelli, pp. 170, euro 15).

IL CAPITALISMO È QUI, come in altri suoi lavori precedenti, analizzato mediante una particolare interpretazione degli studi di Max Weber: un sistema economico che si regge su un modello antropologico e su un meccanismo «tecnico» di accumulazione. Il primo fornisce l’energia motivazionale e i confini etici dell’agire economico mentre il secondo fa riferimento ai meccanismi concreti, «tecnici», con il quale il sistema lavora. Questo vuol dire che i mutamenti del capitalismo comportano un cambio di entrambe le dimensioni e che nessuna critica può dirsi davvero efficace se, oltre a confrontarsi con le contraddizioni e le opportunità presenti nel sistema, non offre alternative sia idealmente accettabili sia economicamente efficaci. Dopo un’analisi del capitalismo che ha generato la crisi del 2007 come capitalismo finanziario-consumerista – cioè incentrato su un consumismo sfrenato e su una finanza predatoria e socialmente irresponsabile – Magatti indica due possibili scenari post-crisi: il primo si basa sull’accoppiata sicurezza-efficienza economica.

QUESTO MODELLO, in continuità con gli effetti più disumanizzanti del precedente sistema, si basa su un ripiegamento nazionalista e comunitario che, se da un punto di vista politico, vede nel populismo la sua massima espressione, da quello economico si basa su un’accentuazione dello sfruttamento della forza lavoro. Vettore di questa ulteriore efficientizzazione del sistema sarebbe la digitalizzazione: dalla centralità di un consumatore finanziariamente e artificiosamente eccitato, si passerebbe a quella di un produttore iper-taylorizzato, in un mondo sempre più diseguale e strutturalmente instabile.
Il secondo modello, che Magatti reputa desiderabile e concretamente edificabile, è quello incentrato su un’antropologia generativa e su un modello di accumulazione basato sulla sostenibilità. Dei due elementi il primo risulta quello più originale: generatività come capacità di contribuire al benessere sociale attraverso l’impegno, l’innovazione e la responsabilità sociale. Un universale antropologico in grado di limitare e ricondurre a normalità gli eccessi super-omistici del passato consumerismo.

SECONDO IL SOCIOLOGO milanese entrambi questi elementi sono già presenti nell’attuale fase di transizione post-crisi: a questo punto, il convitato di pietra diventa la politica, che deve essere in grado di indirizzare le proprie scelte in modo da impedire il consolidamento (per molti versi già in corso) del primo modello a favore dell’emersione del secondo. Un modello, quest’ultimo, in grado di riconciliare società ed economia, senza fare appello a improbabili soluzioni utopiche ma a interessi materiali e ideali concreti. Questo il principale merito del volume di Magatti: a prescindere dalla condivisione o meno delle sue posizioni, la sua analisi coglie fino in fondo la sfida del reale, conciliando pragmatismo, rigore scientifico e spinte ideali. Tuttavia due grandi questioni restano aperte: la prima riguarda la questione dei soggetti della trasformazione. Il libro indica una serie di attori che si fanno già portatrici delle nuove logiche, tutti riconducibili alla società civile. Eppure, come si è detto, senza la politica è difficile immaginare il dispiegamento della nuova economia della sostenibilità e dell’antropologia della generatività. Occorrerebbe quindi sviluppare un’analisi che si faccia carico di chiarire come passare dal livello della società civile a quello della società politica.
La seconda questione è più radicale: siamo davvero convinti che il nuovo modello di capitalismo fondato su sostenibilità e generatività sia davvero in grado di risolvere le contraddizioni del precedente modello? Non potrebbe invece trattarsi di una riedizione post-crisi del discorso della «terza via», in grado di mitigare moderatamente ma non invertire il segno di un capitalismo globale ancora saldo e predatorio, nonostante i recenti disastri? Domande complesse che non trovano risposta in questo interessante saggio di Mauro Magatti, ma che vanno affrontate se si vuole rovesciare il «fallimento del presente».