La commissione sull’antitrust dell’unione europea, guidata dalla danese Margrethe Vestager, continua la sua politica contro le imprese high-tech, di volta in volta accusate di elusione fiscale, di strategie monopoliste, di vessazioni agli utenti. Questa volta a farne le spese è Facebook, multato per 120 milioni di euro per aver ingannato gli utenti al tempo dell’acquisto di WhatsApp, dichiarando che mai avrebbe usato i dati del servizio di messaggistica nelle sue strategie di marketing e di vendita di spazi pubblicitari. Per la commissione tutto ciò non è avvenuto, condannando così la società di Mark Zuckeberg a 120 milioni di euro di multa.

La notizia, arrivata prima dell’apertura di Wall Street, ha provocato l’onda di commenti nella Rete, con moltissimi analisti che scommettevano sulla perdita di valore delle azioni di Facebook nelle operazioni di borsa: previsione smentita da Wall Street, dove le azioni di Facebook hanno chiuso con un rialzo.
Non è la prima volta che Wall Street «commenta» positivamente per le imprese una decisione penalizzante per i colossi dell’high-tech della commissione europea sull’antitrust. È già accaduto con Microsoft, con Google e con Apple, finiti sotto i riflettori delle istituzioni europee, che li ha pesantemente sanzionati.

È dai tempi della presidenza di Mario Monti che l’Antitrust europeo non nasconde un protagonismo che ha accompagnato e amministrato lo sviluppo del digitale. Nel 2004 Microsoft fu infatti condannata per pratiche monopolistiche con una multa di 479 milioni di euro e l’imposizione di «sganciare» l’uso del sistema operativo Windows dal programma informatico «ausiliario» Media Player. Una decisione che fece scalpore, provocando la reazione sdegnata della società di Redmond. Per Microsoft era una ingerenza indebita della politica nel mercato. Peccato che anche negli Stati Uniti il ministero della Giustizia aveva avviato provvedimenti analoghi, che hanno portato da lì a pochi anni a una marginalizzazione del colosso statunitense, che è rimasta sì una delle società leader nell’informatica, perdendo però terreno nei confronti di altre imprese – Google in primo luogo – a causa anche delle scelte miopi del suo management, che vedevano nella attività in Rete – i motori di ricerca e i social network – solo una bolla che prima o poi si sarebbe sgonfiata.

Microsoft ha provato a risollevarsi in Europa, ma ogni volta che lo ha fatto l’Antitrust europeo è nuovamente intervenuto, multandola per altre tre volte: nel 2006 (280 milioni di multa), nel nel 2008 (899 milioni di euro) e nel 2013 (561 milioni di euro). Ogni volta perché Microsoft rendeva difficile usare programmi applicativi che non fossero i suoi o per rendere incompatibili software di navigazione in Rete diversi dal suo Internet Explorer.

Anche Google è finito sotto inchiesta: anche in questo caso, l’accusa è di posizione dominante rispetto al sistema operativo Android per smartphone o per il servizio Google shopping. Finora nessuna multa è stata emessa, ma alla società del motore di ricerca sono stati richiesti «chiarimenti esaustivi». Chi non è stata multata è stata invece Amazon, che si è adeguata alle richieste dell’Antitrust sui suoi dispositivi di lettura, anche se assieme a Apple è sotto i riflettori per elusione fiscale, una pratica talmente diffusa che Margrethe Vestager ha ritenuto di sollecitare i paesi dell’Unione europea di stabilire norme condivise e vincolanti per fermare una evasione fiscale elevata a sistema.

Anche se a Wall Street la decisione dell’Unione europea non ha provocato reazioni negative, il protagonismo dell’Antitrust costituisce il tentativo di governare il mercato. Al di là delle lodevoli intenzioni della socialista Margrethe Vestager di salvaguardare i diritti dei consumatori, c’è il rischio che la multa a Facebook, diventi una delle forme di governance per amministrare l’esistente, favorendo il consolidamento di uno status quo, che quando si parla di Rete è però niente altro che una chimera.