L’elezione di Rosy Bindi alla presidenza della commissione bicamerale antimafia spacca le larghe intese e compatta solo formalmente il Pd. Al bivio fra il subire la furia dei pidiellini di ogni orientamento – da Cicchitto a Schifani, da Brunetta a Santanchè – oppure esporre la commissione al ludibrio di nuove, estenuanti trattative sotterranee, i democrat scelgono il male minore. Anche se a palazzo San Macuto mancano ancora i titoli di coda. Perché alla richiesta di dimissioni di Bindi fatta da tutto il Pdl, si aggiunge il fuoco amico del renziano di ferro Davide Faraone: «Un’occasione mancata, si confonde la pacificazione con interessi di parte». Parole incendiarie, dette per giunta da un membro della bicamerale. Il pessimo spettacolo dunque va avanti, visto il peso specifico di una commissione chiamata ad affrontare, politicamente ma con gli stessi poteri dell’autorità giudiziaria, le mafie e le altre organizzazioni criminali che operano nel paese.

La decisione di ribadire la candidatura di Rosy Bindi era stata presa lunedì notte, alla riunione fra il segretario Epifani e i 20 membri dem della commissione. L’obiettivo era quello di allargare il consenso sul candidato ufficiale del Pd, cui però il Pdl aveva contrapposto fin dall’inizio Donato Bruno. Avviando così un braccio di ferro che aveva ritardato ulteriormente l’operatività dell’organismo parlamentare, e che aveva portato a un accordo bipartisan su Luigi Dellai di Sc subito finito in archivio per le divisioni fra i montiani. «Lo stallo della commissione antimafia – ricordava ieri mattina Antonio Ingroia – per sette mesi senza componenti e ancora oggi senza presidente, è la dimostrazione di un parlamento incapace e lontano dal paese reale, dove la mafia è un’urgenza da affrontare».

La risposta del Pdl alla scelta del Pd è stata quella di boicottare la seduta della commissione, i cui 50 membri, divisi equamente fra senatori e deputati, sono 20 del Pd, 11 del Pdl, 8 del M5S, 3 di Sc, 2 del Psi, di Sel e della Lega, uno di Fratelli d’Italia e di Gal.
Al primo tentativo, dove occorreva la maggioranza assoluta, Rosy Bindi ha ottenuto 23 voti, contro i 6 di Luigi Gaetti dell’M5S e i 2 del leghista Raffaele Volpi. Al ballottaggio Bindi ne ha avuti 25 ed è stata eletta, al pari dei vicepresidenti Claudio Fava di Sel (21 voti) e dello stesso Gaetti (7 voti), e dei due segretari Angelo Attaguile della Lega e Marco Di Lello del Psi. In partenza le nomine proposte dal Pd erano solo quelle di Bindi, Fava e Di Lello, per segnalare l’accordo con Sel e Psi, e una porta aperta al Pdl.

Invece dal partito di Silvio Berlusconi e Angelino Alfano è subito partita la richiesta di dimissioni. «Il gruppo Pdl non prenderà più parte ai lavori della commissione – ha annunciato Fabrizio Cicchitto – chi è stato eletto in questo modo inusitato dovrebbe rimettere il suo mandato. Con questa forzatura è stata affossata l’antimafia in questa legislatura». A ruota Renato Schifani: «L’atto di forza del Pd, ignorando l’alleanza che sostiene il governo, si può sanare soltanto con le dimissioni dell’onorevole Rosy Bindi». Poi Brunetta, Giovanardi, Gelmini, Gasparri, Minzolini e Santanché. Falchi o colombe, tutti uniti nel chiedere il passo indietro.

La neo presidente ha cercato di tenere botta: «Non posso non rispettare le 25 persone che mi hanno votato – ha spiegato Rosy Bindi – ora mi auguro che si creino le condizioni per lavorare». Un primo scivolone: «Se ci sono stati patti, non ne ero a conoscenza”. Ma anche l’appoggio esplicito di Rita Borsellino («Bindi ha la caratura etica e politica per guidare un’istituzione così importante e delicata»), e quello implicito di Pietro Grasso: «Non si poteva aspettare oltre – ha avvertito la seconda carica dello Stato – i necessari approfondimenti sul tema dei rapporti tra criminalità organizzata e politica non potevano più essere rinviati».

Fra i membri della commissione, Sel e Cinquestelle scalpitano: «Non ci sarà alcun rallentamento – avvertono Fava e Gaetti – da domani si comincia a lavorare, e speriamo che lo facciano anche gli assenti». Ma proprio nel Pd arriva un ripensamento pesante: «La commissione deve essere presieduta da figure di rappresentanza che abbiano una storia – dice il renziano Faraone – non con la logica partitica su a chi deve andare la poltrona. Penso alla Scopelliti del Pdl, ma anche nel Pd c’erano figure adatte. La mia idea oggi è in minoranza ma credo che lentamente questa maturazione ci possa essere, e che si possa eleggere un presidente che abbia i requisiti giusti».