Fiducia al senato e probabile raddoppio con la fiducia anche alla camera la prossima settimana sulla legge anti corruzione. La tappa a palazzo Madama di questo provvedimento di cui i 5 Stelle hanno fatto una bandiera – già convocati i banchetti il 22 dicembre per festeggiare in piazza l’approvazione definitiva – si conferma una pura formalità, necessaria solo per eliminare dal testo quella depenalizzazione del peculato che alla camera era passata nel voto segreto. Ma è ancora il voto segreto a spaventare la maggioranza e così si spiega, più ancora che per ragioni di fretta, la scelta di mettere la fiducia. La presidente del senato Casellati aveva lasciato intendere che avrebbe ammesso il voto segreto chiesto dalle opposizioni su molti dei 200 emendamenti presentati, le votazioni a rischio franchi tiratori sarebbero state più di cinquanta. Un rischio eccessivo per i giallobruni, tanto più che sarebbe caduto nel momento di massima tensione tra alleati.

I 5 Stelle in crisi di visibilità non hanno esitato a brandire la legge anti corruzione proprio contro i leghisti, visto che contiene una parte sulla trasparenza nel finanziamento dei partiti, argomento delicatissimo in casa Lega nei giorni delle inchieste che coinvolgono il tesoriere del partito. Anche sulle donazioni in chiaro a partiti e fondazioni la Lega aveva provato (alla camera) a modificare il testo proposto dal ministro della giustizia Bonafede, sostanzialmente non riuscendoci. Il cosiddetto (dai grillini) «spazzacorrotti» resta un provvedimento che i leghisti ingoiano con grande difficoltà, e tutti gli interventi degli ex alleati di Forza Italia contro la «deriva manettara» sono una sofferenza per i senatori di Salvini. In una lunga serie di voti segreti avrebbero potuto trovare sfogo, così come verosimilmente era avvenuto alla camera. La fiducia ha chiuso il discorso.

«La maggioranza è divisa e non può reggere voti segreti», ha detto il senatore Pd Mirabelli, secondo il quale la legge anti corruzione «serve solo al M5s a parlare alla pancia dei suoi elettori, stravolge i sistemi di garanzia per i cittadini e compromette lo stato di diritto». Discorso diverso per Leu, il senatore Grasso si è rammaricato per la fiducia «segno di debolezza che non consente di migliorare il testo» che pure a suo dire è «un’ottima base di partenza». Tra i punti al centro del dibattito e delle critiche, l’ex presidente del senato ha detto di condividere sia il modo in cui è stata disegnata la figura dell’agente sotto copertura (il cui impiego è esteso ai reati contro la pubblica amministrazione) sia la cancellazione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Elemento che invece più di tutti allarma gli avvocati penalisti: «La fiducia è uan risposta indecente all’unanime critica espressa dalla comunità dei giuristi su un provvedimento connotato da grossolani profili di incostituzionalità», ha detto il presidente dell’Unione camere penali Caiazza.

Tra i tanti voti segreti da evitare, per un eccesso di zelo i giallobruni hanno scelto di non correre rischi nemmeno sulle pregiudiziali di incostituzionalità. La presidente Casellati non ha ammesso il voto segreto su quello che è stato e resterà l’unico voto di merito sulla legge (tutti gli emendamenti decadono infatti con la fiducia) e lo ha fatto dopo aver interrogato la giunta per il regolamento del senato. Alla proposta di ammettere il voto segreto le opposizioni si sono dette favorevoli, la maggioranza contraria e il risultato in giunta è stato un perfetto pareggio. «La presidente l’ha interpretato come fosse un voto su un emendamento, quando la giunta è organo consultivo» ha fatto notare il senatore Pd Parrini. Con il voto palese i mal di pancia leghisti sono spariti e la maggioranza arriva senza rischi al voto di fiducia, stamattina. Poi si va alla camera per l’ultimo atto.