Antonis Samaras e alcuni partner europei alleati del premier greco, in primis la cancelliera tedesca Angela Merkel, continuano a promuovere la strategia della paura. La politica della sinistra greca, secondo loro, porta il paese nel caos. Dietro le quinte, però, a sentire fonti diplomatiche a Bruxelles, «si preparano a un governo di Syriza, perché Alexis Tsipras sta lasciando la retorica rivoluzionaria di due anni fa».
Per i partner europei, Atene non è più una fonte di contagio, come sostenevano in passato, ma semplicemente «un’anomalia in seno all’Ue, e quindi si può dialogare anche con un governo delle sinistre». Secondo il Financial Times, la prospettiva di un tale governo «non è un vero e proprio tabù per Bruxelles» e «una crisi politica greca, che tre anni fa ha rischiato di affossare la moneta unica, potrebbe non costituire più una minaccia per l’esistenza della zona euro».

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C’è, invece, chi continua a sostenere che «l’establishment europeo farà tutto quello che potrà fino all’ultimo, in modo che Syriza non governi il paese» e che «il meccanismo del fondo salva-stati non garantisca al 100% l’Eurozona, nel caso Syriza e la troika (Fmi, Ue, Bce) non trovino un accordo». Intanto ad Atene la maggioranza dei greci non crede che un governo delle sinistre potrebbe danneggiare il Paese, anzi, c’è la consapevolezza che i giochi speculativi vengono fatti dai mercati e dagli investitori stranieri.

Il taglio del debito pubblico

L’agenzia Bloomberg e alcuni mass-media conservatori europei stanno adottando l’idea di un taglio del debito pubblico greco, proposta avanzata da tempo da Alexis Tsipras, ma di cui, per il momento, non si è parlato a Berlino o a Bruxelles.

L’haircut del debito – il rapporto tra debito e Pil rimane a livelli altissimi, attorno al 170% -, come presupposto per la crescita del Paese, è infatti uno dei due pilastri del programma economico della sinistra radicale, l’altro riguarda la cancellazione del memorandum. E su questo «il governo di Syriza chiederà una conferenza internazionale» afferma Tsipras, secondo il quale «il taglio non andrebbe a penalizzare i crediti detenuti dai privati, ma dovrebbe essere concesso dalla troika, che ha in mano una grossa fetta di questo debito pubblico greco».

Tant è vero che, a sentire gli economisti, questi prestiti ad Atene non saranno mai erogati per intero, quindi è meglio per i creditori un taglio del debito oppure un prolungamento degli acconti, visto che «un fatto simile (il taglio del debito) è avvenuto in Germania nel 1953», come fa notare l’eurodeputato Manolis Glezos.

Tsipras, inoltre, ha promesso di far aumentare ai livelli precedenti alla crisi, il salario minimo mensile (abolizione di alcuni tagli concordati con la troika), la lotta all’evasione fiscale, che arriva al 25% del Pil (la media europea è attorno al 10%) e alla corruzione, la creazione di 300 mila nuovi posti di lavoro puntando su un piano di investimenti per stimolare la crescita e l’alleggerimento fiscale degli strati sociali più colpiti dalla crisi; il leader di Syriza è contrario, invece, a qualsiasi misura aggiuntiva, cioè a una nuova austerity che preveda ancora tagli a stipendi, pensioni e indennità oltre a licenziamenti, come presupposto per l’incasso di nuovi aiuti finanziari dai creditori internazionali.

I mercati sul Grexit

All’atteggiamento ambiguo dei partner europei si sovrappone il pessimismo premeditato dei mercati che temono «il ritorno del default in Grecia» e di «una tempesta nella zona euro», se Syriza «annulerà tutti gli accordi con la troika». «Il 2014 non è il 2012 e quindi non passerà il terrorismo dei mercati», sottolinea Tsipras, ma lo scontro tra un governo delle sinistre e i mercati sembra inevitabile anche nel caso che i partner europei volessero evitarlo. Indicativo è il crollo clamoroso della borsa di Atene proprio nel giorno in cui ufficialmente si anticipavano le elezioni presidenziali, ma anche quello di lunedì scorso, crolli interpretati come un avvertimento nei confronti di chi, leggi Syriza, cerca di deviare da ciò che gli stessi mercati considerano «stabilità politica».

L’incubo del Grexit, dell’uscita della Grecia dalla zona euro viene riprodotto senza scrupoli dai mercati, i quali, a prescindere dalla situazione reale, dai «progressi» sul fronte macroeconomico di Atene, comunque si schierano contro Syriza.

Goldman Sachs e l’agenzia di rating Moody’s valutano negativamente sia la prospettiva di elezioni anticipate, perché diminuirebbe la credibilità del paese, sia l’eventualità di un governo delle sinistre, perché «potrebbe tagliare i ponti con i creditori internazionali».

Secondo analisi pessimiste, riprodotte da alcuni quotidiani, «la conseguenza dell’interruzione dei finanziamenti dalla Bce alle banche greche (nel caso che un governo del Syriza continui a opporsi alle misure aggiuntive) sarebbe la chiusura improvvisa degli sportelli e dei bancomat in Grecia, impedendo così ai correntisti di accedere ai loro soldi» come accaduto nel marzo del 2013 a Cipro. Allora nell’ isola le banche cipriote rimasero senza contanti per parecchi giorni, provocando la reazione dei cittadini e un memorandum pesante per tutti i ciprioti.

Corsa contro il tempo

Il tempo nella capitale greca in effetti stringe. Tra un mese, a prescindere dalle elezioni anticipate e dal governo che si formerà, Atene deve incassare 7 miliardi di euro (sui 230 già concessi) per coprire i propri bisogni. L’Eurogruppo durante la sua riunione a metà dicembre ha deciso di prolungare la validità del programma di risanamento dell’economia greca sino alla fine del prossimo febbraio – la decisione è stata respinta da Syriza – ma sta alla troika e al governo greco trovare un accordo sulle misure aggiuntive (altri 2,5 miliardi di tagli), finalizzate alla conclusione del controllo sull’attuazione del programma stesso. Questa è infatti la condizione indispensabile per l’uscita del Paese dal memorandum e per l’attuazione della linea di sostegno precauzionale (Eccl) finché la Grecia non sarà in grado di tornare sui mercati internazionali.
In altri termini, Bruxelles e Berlino sottolineano che né il denaro, né la linea di credito precauzionale saranno concessi ad Atene fino a quando la Grecia non avrà concluso il piano di risanamento economico nel suo insieme, che vuol dire accettazione da parte del governo greco della nuova austerity.

La domanda che si pone già è come si potranno incassare quei soldi dai creditori internazionali necessari ad Atene per pagare gli stipendi, le pensioni e per rifinanziare il debito (i bond in scadenza), nel momento in cui proprio in quel periodo, in febbraio, ci sarà il ricorso anticipato alle urne e le trattattive per la formazione di un governo? Come si comporterà Alexis Tsipras, tra i critici più severi delle politiche di austerità del Fondo monetario internazionale, dell’Unione europea e della Banca centrale europea? Se come nuovo premier respingerà ogni trattattiva con la troika, lo stato greco rischia di trovarsi senza soldi nelle casse; se accetta avrà fatto una manovra di 180 gradi.

La tattica di Tsipras

Per il momento il leader della sinistra radicale greca rassicura i suoi interlocutori internazionali e soprattutto gli europei che non ha la minima intenzione di uscire dall’euro, sapendo benissimo che l’Ue non può permettersi di far uscire la Grecia dall’Eurozona, non soltanto perché non è previsto nei trattati dell’Ue, ma anche per le ripercussione che avrebbe in tutto il vecchio continente.

Quello che conta per Syriza è guadagnare tempo e non alimentare, senza volerlo a causa della pressione dei mercati, la crisi umanitaria nel Paese. A un passo dal potere Tsipras sta cambiando tattica – altri dicono oltre la retorica, anche strategia politica – per quanto riguarda il memorandum, gli accordi già firmati tra Atene e la troika.

La promessa del leader di Syriza, un anno fa al parlamento, che «l’unica proposta alternativa è l’annullamento di tutte le misure di austerità con una legge che avrà soltanto un articolo» è stata sostituita dall’ eventualità di trattare con i creditori internazionali e comunque di non decidere prima di consultarsi con loro. Anche perché noti esponenti della sinistra radicale, come il professore di Diritto del lavoro Alexis Mitropoulos, parlamentare di Syriza e proveniente dal Pasok, fanno notare che «chi crede che il memorandum potrebbe essere annullato semplicemente con una legge non conosce affatto gli impegni derivanti dagli accordi».

Tsipras con i vertici di Syriza sono già al lavoro per mettere a punto il programma dei primi cento giorni di governo e soprattutto per non trovarsi impreparati a ridosso delle scadenze di febbraio. A questo proposito si è incontrato con l’ex governatore della Banca di Grecia, Jorgos Provopoulos, definito un anno fa «l’ambulante delle banche».

Reazioni interne

Che Tsipras abbia lasciato la retorica, dando spazio al realismo politico, è evidente anche dalla sua visita al Pentagono, il quartier generale del ministero della difesa greco, tradizionalmente roccaforte della destra (la memoria del colpo di stato dei colonelli nel 1967 è ancora viva), dove ha rassicurato la leadership militare, «Ci sarà una continuazione nello stato», ha promesso se Syriza andrà al potere. Il tour del leader della sinistra radicale ha comportato anche la visita ai monasteri di Monte Athos, al Vaticano, dove si è incontrato con il Pontefice, e all’archivescovo della potente Chiesa Ortodossa Greca per accreditarsi fra le gerarchie in vista delle urne.

In questo ambito di aperture politiche Tsipras si è incontrato al Forum di Como con José Manuel Barroso, Jean Claude Trichet, Joaquin Almunia, Mario Monti, Enrico Letta, mentre i responsabili della politica economica di Syriza, Jorgos Stathakis e Jannis Milios, entrambi professori universitari, sono andati alla City di Londra a parlare per illustrare e discutere con investitori e rappresentanti di hedge fund il programma economico del partito.

Queste mosse di realismo politico di uno Tsipras in pole position per la premiership, non vengono viste di buon occhio dai suoi avversari interni, come per esempio Panajotis Lafazanis, capogruppo parlamentare e leader dell’Aristero Revma (Corrente di sinistra), componente comunista di vecchio stampo in seno a Syriza, che «non vorebbe alcun contatto con i rappresentanti del neoliberalismo europeo». «Di poliglottismo degli esponenti di Syriza per quanto riguarda le proposte per uscire dalla crisi» parla anche una parte del elettorato, nonostante si dichiari a favore della sinistra radicale.