Lui si chiama Michael Stone, aspetto anonimo, fama mondiale, il suo libro è divenuto la Bibbia di tutti coloro in cerca di affermazione: How May I Help You Help Them ovvero come motivare i venditori di tutto il mondo, manager e precari, impiegati e team leader per incrementare le vendite del 100%. Ma cosa ci sarà nella sua testa, quale sarà il suo occhio sul mondo? Facce uguali, maschi e femmine, adulti e bimbi, il suono della voce incolore e maschile per tutti, l’unico diverso (almeno così crede) è lui col suo accento british che a Cincinnati, città con lo zoo a misura, faticano a capire.

Negli incubi di uffici kafkiani è preda di bramosie nauseanti, nei sogni cerca la crepa nell’ordine e il battito accelerato del cuore, un’anomalia come quella voce delicata che sente all’improvviso, la voce di Lisa, che non somiglia a nessun altro, Lisa, anormale e speciale, Anomalisa. Gran premio della Giuria a Venezia, in corsa agli Oscar (contro il supportatissimo Inside Out) è il nuovo film di Charlie Kaufman, bello, bellissimo, animazione a passo uno di sentimenti estremizzati, con le voci di David Thewlis (Stone) e di Jennifer Jason Leigh (Lisa), in cui ritornano la poesia ossessiva di Being John Malkovich, la tenerezza malinconica dell’impossibile sincronia amorosa di Se mi lasci ti cancello, le esistenze rigidamente compartimentate di Synecdoche, New York.

Per produrlo Kaufman, che lo ha codiretto insieme al regista di animazione Duke Johnson si è affidato al crowdfunding (cinquecentomila dollari su Kickstarter) perché voleva essere indipendente e avere la massima libertà delle sue scelte artistiche. E Anomalisa è un film liberissimo come la parola con cui gioca: anomalia, una parola che fa paura, devia dalla regola, mette in discussione. È questo Lisa, che Stone incontra nell’hotel Fregoli (come la sindrome paranoica) la notte prima di una conferenza.

Solo in albergo nel tempo di un non-luogo anonimo che appartiene al sonno, al sogno o all’insonnia, Stone insegue il desiderio di una relazione, di qualcosa che scuota il suo programmatissimo universo. Cerca una ex scaricata undici anni prima e infine incontra Lisa. Che è timida, si sente una sfigata perché non è come gli altri, ed è una sua ammiratrice; lavora al call center e ha divorato il suo libro anche se con il dizionario accanto. È lì insieme a un’amica, quella bella che tutti di solito rimorchiano. Molti mojito alla mela, molti Martini cocktail con scorza, l’immagine della ex cancellata di colpo dalla donna delle sue fantasie. La sua voce lo fa impazzire, Lisa canta, racconta, la notte finisce nella stanza di lui dove tutto è al suo posto come il room service vuole.

Ma si può vincere l’ansia del risveglio, sfidare la presunzione di essere diversi e la paura di scoprirsi uguale agli altri? Ci vuole poco per finire in mille pezzi, l’esistenza può collassare in ogni momento. «Non vi rendete conto che il sistema scolastico è stato distrutto per creare ignoranti da spedire in guerra?» grida Stone sul palco tra un sorriso ai clienti e l’altro. Meglio forse tornare all’ordine.

Nel film di Kaufman e Johnson ritroviamo tanto, e bene, del nostro sopravvivere contemporaneo: chi siamo noi? Che cosa vogliamo? Chi è chi ci sta attorno? Soprattutto, c’è qualcuno che ci ascolta, ovvero ascoltiamo qualcuno, avvertiamo qualcosa che non sia un flusso indifferenziato di parole nell’era dell’individuo divenuto social? Non è la prima volta per il regista – all’opera seconda – e sceneggiatore dei migliori film di Gondry e di Spike Jonze ma questo viaggio visionario in una mente scollata dagli altri spinge all’estremo i luoghi della sua poetica. Anche grazie alla cifra dell’animazione che permette di astrarre e di erotizzare al tempo stesso, di rendere visibile la metafora, le paranoie, l’intimità profonda in una dimensione fisica con umorismo, senza cadute né ridondanza. Un paesaggio di solitudine e silenzio in cui la fantasia e l’imprevisto sono stati completamente eliminati.

«Era molto tempo che volevo girare un film in stop motion ma non nel modo in cui sono fatti i film di animazione a passo uno oggi. La maggior parte delle volte li ’ripuliscono’ di ogni difetto, appiattiscono qualsiasi differenza. Visto che il film si concentra su una dimensione uniforme, era necessario dare all’animazione una fisicità, mostrarne i fili» diceva Kaufman nell’incontro veneziano.

Anomalisa sposa così il punto di vista del suo protagonista, stanco delle relazioni umane al tempo della loro riproduzione meccanica che le rende soltanto noia, irritazione, aggressività, indifferenza. E trasforma tutti loro in un’orda di « bodysnatchers» con il visto da marionette. Una condizione dolorosa anche se nel film si ride molto, e certe scene, coi due imbarazzati e goffi protagonisti insieme a letto sfiorano la slapstick. Il racconto di un’inquietudine che ci riguarda, come appunto la ricerca ingenerosa di chi si concentra solo su di sé. Kaufman ha la misura e il tocco per smascherare l’ordine con implacabile dolcezza. Nella sua poesia l’anomalia è (forse) ancora un amore inatteso, spudorato e spaventoso, come una canzone «sconcia giapponese.