Sei disposto a rischiare? Per te, due soluzioni al posto di una! Potrebbe essere lo spot dei nuovi prodotti finanziari che, sotto l’egida di Bruxelles e Francoforte, un nuovo ente, privato, dovrebbe da qui a poco immettere sul mercato, attingendo dal debito degli Stati membri. Da un lato un titolo più rischioso, ma con rendimenti più alti, dall’altro un titolo più sicuro che, però, offrirà meno possibilità di guadagno.

Se ne parlava da un po’ di tempo, ma adesso la Commissione ne ha dato l’annuncio ufficiale (ora la palla passa al Consiglio ed al Parlamento). Beninteso: niente a che vedere con gli Eurobond, che presuppongono una mutualizzazione dei debiti sovrani o di parte di essi, ma «solo» un modo per «diversificare i portafogli delle banche», evitando che le stesse comprino prevalentemente titoli dei rispettivi Paesi, con tutte le insidie che ne derivano.

Spieghiamoci meglio. Attualmente, le banche europee hanno in pancia un numero molto elevato di titoli del tesoro dei propri Paesi (quelle italiane ne detengono 336 miliardi), nonostante gli acquisti che la Bce porta avanti ormai da tre anni a questa parte con il cosiddetto Quantitative easing. Una situazione che nasconde un pericolo reale: la massa di titoli di Stato nei bilanci delle banche è tale che una loro repentina svalutazione potrebbe innescare una nuova crisi sistemica. Pensiamo alle tensioni che la nascita del nuovo governo sta generando in Italia: cosa accadrebbe, per il sistema bancario, se un attacco speculativo determinasse una forte svalutazione dei nostri Btp (il loro rendimento è già cresciuto di mezzo punto da gennaio)?

Una soluzione a questo problema – hanno pensato i commissari europei – potrebbe essere una «diversificazione» del pacchetto di titoli detenuti dagli istituti di credito, allentando anche il legame tra banche e debiti sovrani. Ma come? L’idea è quella che un nuovo veicolo finanziario acquisti titoli dei Paesi della zona euro (in proporzione alla quota di ciascuno nel capitale della Bce, che per l’Italia significa il 17%), li assembli in un nuovo portafoglio, per poi ri-spezzettarli in nuovi titoli negoziabili, che le stesse banche (o altri investitori) andranno ad acquistare nelle due tranche previste, quella senior (più sicura) e quella junior (rischiosa).

Insomma, una banale (si fa per dire) operazione di cartolarizzazione di obbligazioni statali, dalla quale verrà alla luce quello che qualcuno ha battezzato, con un’espressione un po’ inquietante, «debito sintetico».

Ufficialmente, il nome usato per questi titoli è safe bond (Sovereign bond backed securities), a sottolineare l’affidabilità del prodotto, ma, indirettamente, anche la messa in sicurezza dei bilanci bancari. In realtà, siamo in presenza di un’operazione di ingegneria finanziaria che di sicuro ha solo il nome (che peso hanno avuto le cartolarizzazioni dei mutui nella crisi americana?). Il fatto che la garanzia sia data da titoli di Stato, infatti, non significa di per sé assenza di rischi.

D’altronde, dire «debito sovrano europeo» equivale a non dire niente. I Bund tedeschi non sono i titoli di Stato greci, italiani o portoghesi. E viceversa. Per intenderci, il rating della Germania è contrassegnato dalla «Tripla A», che significa «elevata capacità di ripagare il debito», mentre quello italiano dalla «Tripla B», come nel caso del Perù, che vuol dire «adeguata capacità di rimborso, che però potrebbe peggiorare».
I primi andrebbero a costituire l’anima delle obbligazioni senior, mentre i secondi infarcirebbero quelle junior. Con la conseguenza, plausibile, che le banche europee acquisterebbero soprattutto le prime, mentre le seconde finirebbero nel mirino di fondi altamente speculativi.

Senza una condivisione dei rischi tra gli Stati (ognuno risponde del proprio debito), insomma, i Paesi periferici sarebbero esposti ancora di più alla speculazione internazionale, rischierebbe di acuirsi il divario tra centro e periferia, scricchiolerebbe la stessa costruzione europea.

Evidentemente, l’esperienza di questi anni non ha insegnato niente.