La Germania senza più Mamma-Angela si riscopre orfana dell’ultima «donna-alfa» della politica tedesca, mentre prova a immaginare il post-Merkel che fino a ieri era semplicemente impensabile.

Stretta fra il trauma di chi – da sinistra – rimpiange l’argine contro l’ultra-destra che ha protetto la Bundesrepublik per 13 anni; e chi, invece, come i fascio-populisti di Alternative für Deutschland si arrogano il merito di averla detronizzata.

In ogni caso in Germania nulla è già più come prima: anche se nessuno qui si azzarda a indovinare cosa accadrà durante (e soprattutto dopo) il congresso Cdu di Amburgo che il 7 dicembre eleggerà il nuovo capo del partito.

TRA I DEMOCRISTIANI si naviga a vista sulla rotta politicamente incerta e con pochi punti di ancoraggio. Il primo è la candidatura a presidente di Friedrich Merz, 63 anni, ex capogruppo dell’Union al Bundestag dal 2000 al 2002, ufficializzata ieri pomeriggio. Insieme a Jens Spahn, altro pretendente alla leadership, incarna l’ala destra della Cdu.

«Abbiamo bisogno di un nuovo inizio e di un rinnovamento della leadership con personalità di esperienza ma anche con più giovani. Sono pronto ad assumermi la responsabilità facendo tutto ciò che serve per rafforzare la tenuta interna della Cdu» è la sua “ecumenica” dichiarazione di discesa in campo.

Una mossa tutt’altro che inattesa, dopo che la cancelliera lunedì si era assunta la piena responsabilità della pesante sconfitta elettorale in Assia.

L’ESATTO CONTRARIO dell’altra grande perdente del voto regionale che ha sfigurato per sempre la politica nazionale. La segretaria Spd, Andrea Nahles, pur scontando l’emorragia di consenso più copiosa dal dopoguerra, lascia intendere di non avere alcuna intenzione di fare mezzo passo indietro.

«Nella Spd non sono in discussione avvicendamenti di persone» taglia corto la leader socialdemocratica. Al suo orizzonte si staglia, sempre e comunque, l’ingombrante profilo della Groko ancora formalmente guidata da Merkel, cui Nahles ha riconosciuto «la forza di volontà come prima donna a capo della Cdu, che all’epoca la ridicolizzava considerandola una personalità debole».

Una dichiarazione allo specchio, tra i riflessi dei malumori che si moltiplicano nelle fila della Spd. A tal proposito, risulta più che sintomatico lo sfogo dell’anonimo dirigente socialista ben introdotto nell’inner-circle della segreteria raccolto ieri dal quotidiano Hannoverische Allgemeine.

«Non si capisce cosa ci sarà di nuovo e da dove poter ripartire, questo è il problema. Nella Spd c’è ancora chi crede di poter risolvere i nostri problemi estraendo dal mazzo la solita “carta intelligente”». Il riferimento corre alla verifica di governo «entro dicembre» chiesta lunedì da Nahles per risolvere i conflitti interni alla coalizione. E l’ennesima «carta» del rilancio smazzata dalla presidenza Spd coincide con la lista di cinque richieste per «recuperare l’azione di governo», ovvero il consenso perduto. Primo: pensione di base, secondo: legge sugli asili, terzo: mercato del lavoro sociale, quarto: protezione del clima, quinto: affitti calmierati.

NUOVI ASSI NELLA MANICA, anche se la giacchetta da tirare non sarà più quella del tailleur pastello di Mutti. D’ora in poi «mancherà il suo stile moderatore che nel 2005 rappresentò il punto di svolta nella politica tedesca» come fa notare il settimanale Die Zeit. «Quando Merkel entrò in carica in Germania c’era l’esaurimento generale del dibattito politico: le discussioni nei talk-show su clima e sussidi sociali erano diventate spietate. Lei rinunciò a umiliare gli avversari inaugurando la strategia del compromesso con cui nessuno perdeva la faccia. Così riuscì a battere i “politici-alfa” come Gerhard Schröder, Guido Westerwelle, Edmund Stoiber e Joschka Fischer».

Non solo per questo «la rimpiangeremo», come titolava ieri la Taz, quotidiano della sinistra indipendente che negli ultimi 18 anni non le ha riservato sconti. Stampando in prima pagina il ritratto mai così rispettoso di chi «ha rappresentato il baluardo contro i battaglioni della destra».

Lo sa bene proprio Alexander Gauland, co-leader di Afd, visibilmente sollevato dal ritiro dell’avversaria più pericolosa. «È anche una nostra vittoria. Senza la nostra pressione Merkel non avrebbe mai mollato».