Anche quest’anno, val la pena comprare e leggere l’annuario della rivista online Fata Morgana Web, pubblicato da Luigi Pellegrini Editore. Il progetto – a cura di Alessandro Canadè e Roberto De Gaetano – conferma come la scuola del DAMS dell’Università della Calabria rimanga, al di là delle mere opinioni, l’officina del pensiero critico sul cinema più precisa nel lavoro e più aperta alle contaminazioni che abbiamo oggi in Italia.

Il volume presenta contributi scritti appositamente per l’occasione: si tratta della sezione «Discorsi». Ci sono poi due speciali, su cinema italiano e ’68. Si continua con la parte che raccoglie le analisi di film pubblicate nel corso dell’anno, a cui segue quella dedicata alle serie televisive. Infine, ci sono la sezione «Nomi propri», in cui il discorso critico si focalizza sul lascito di determinati autori e autrici, e «Remix», con interventi su libri, spettacoli e mostre.

Ora, nonostante un’ottima qualità della riflessione riscontrabile pressoché ovunque nell’annuario, lo speciale dedicato al cinema italiano – dal titolo «Il cinema più bello del mondo» – appare forse la lettura più intrigante del volume, per via del tema e della varietà dei punti di vista attraverso cui è stato elaborato. Infatti, si prendono in esame elementi specifici del discorso filmico (Dottorini, Malavasi, Cappabianca) così come considerazioni di taglio più generale (Coviello, Sangiorgio), dando anche spazio ad approcci che, diciamo, si possono definire più originali (Scarlato). A completare il quadro dei contributi qui presenti, ce ne sono due che sembrano idealmente collocarsi agli estremi dello spettro: quello di De Gaetano («Il cinema è italiano») e quello di Morreale («Il terzo cinema»). Sono due scritti estremamente interessanti da analizzare. In modi diversi, indicano strade che il nostro esercizio critico all’immagine audiovisiva dovrebbe intraprendere per rivitalizzarsi. Da una parte, il discorso di De Gaetano presenta un ragionamento da prendere come modello per l’integrazione tra teoria e analisi, le quali si alimentano a vicenda in modo ammirevole, a partire da una affermazione del grande critico francese Serge Daney: «Il cinema moderno è nato con l’Europa distrutta, gli italiani lo hanno inventato. Nasce con Rossellini e muore trent’anni dopo con Pasolini.» Dall’altra, quanto scrive Morreale, sebbene criticabile in alcuni dei suoi passaggi – per esempio quello, superficiale, su Fuori norma di Aprà e gli sperimentali italiani – sottolinea la necessità di tornare ad avere una critica attiva sul piano sociologico, in grado scommettere su certo cinema italiano contemporaneo, identificabile in quelle «decine di film di solito a piccolo budget, che costituiscono la vera novità, anzi (data la situazione culturale e produttiva del Paese) un piccolo miracolo.»

Alla fine, quanto sembra emergere è l’idea di una critica cinematografica come arte della sottigliezza.