Abbiamo vissuto un anno terribile, sconvolgente, senza uguali. Il virus-killer è arrivato tra noi mentre eravamo alle prese con appuntamenti di grande rilevanza politica (il referendum costituzionale, le elezioni regionali, i processi di Salvini…), ignari di quel che stava per capitare.

Poi tutto è successo. Sofferenza, dolore, lutti. E non solo per l’Italia ma per miliardi di persone, costretti, per la prima volta, a fronteggiare un nemico presente in ogni angolo del Pianeta.

Un nemico forte, particolarmente spietato nel nostro Paese, terreno fertile per la sua micidiale missione distruttiva: strutture sanitarie fragili e insufficienti; confusione organizzativa, debolezza decisionale e disorientamento del governo centrale, spinte centrifughe delle Regioni.

Con un protagonismo mediatico eccessivo di una parte della comunità scientifica, artefice di messaggi contraddittori e irresponsabili (ricordate il “virus clinicamente morto” secondo il medico di Berlusconi?).

E infine i cittadini, non sempre capaci di rispettare le poche e banalissime regole, utili per evitare il diffondersi del virus, più che visibile. Perché economicamente capace di ridurre l’Italia allo stremo, facendo perdere centinaia di migliaia di posti di lavoro, chiudendo una valanga di attività in quasi ogni settore produttivo, distruggendo tessuto sociale, cultura, vita collettiva.

Con le donne e i giovani drammaticamente penalizzati, vittime eloquenti, specchio fedele dell’arretratezza del paese. Tuttavia qualche luce è rimasta accesa nel buio di Covid-19 e altre speriamo stiano per accendersi.

Abbiamo visto donne e uomini sacrificarsi – anche fino allo stremo – per assistere, curare, salvare. Medici, infermieri, l’intero personale sanitario hanno dimostrato quanto possono essere importanti la nostra Sanità e chi ci lavora, nonostante il massiccio definanziamento degli ultimi decenni. E nonostante le incapacità di alcuni amministratori che hanno determinato, come è avvenuto in Lombardia, dei vuoti assistenziali spaventosi.

L’altra luce è il vaccino.

Mai prima era accaduto che l’intera comunità scientifica e l’apparato farmaceutico/industriale fossero impegnati per uno stesso obiettivo. Che in meno di un anno è stato raggiunto. Pur sapendo che il vaccino, da solo, non potrà traghettare il Mondo fuori dall’emergenza epidemica. C’è un’altra luce che si intravvede (siamo tutti obbligati all’ottimismo della volontà), non meno importante: la complicata risalita dalla pandemia economica e sociale.

Il governo nei mesi scorsi è riuscito a rispondere, almeno in parte, al disastro che ha devastato l’economia italiana come di tanti paesi. Il nostro più di altri: la Caritas stima che nel 2020 i nuovi poveri siano passati dal 31 al 45 per cento. E nessuno è innocente se le diseguaglianze esplodono insieme all’evasione fiscale calcolata, solo per l’Irpef, al 30 per cento.

Quando si dice che questo micidiale ospite ha svelato altre perniciose malattie del nostro tempo, costringendo l’establishment a brusche e radicali revisioni, dobbiamo innanzitutto pensare al ruolo positivo quanto disconosciuto della mano pubblica, dello Stato, del peso crescente del welfare state, non più residui novecenteschi ma architravi del futuro.

Erano i giorni dell’esplosione epidemica, con Mario Draghi che invitava i governi “a un significativo aumento dei debiti pubblici”. Improvvisamente l’Europa di Maastricht, arcigna guardiana del liberismo, pronta a sorvegliare e punire gli aiuti di Stato, travolta dai lockdown che facevano precipitare la ricchezza delle nazioni in una depressione più forte di ogni storico precedente dell’epoca, ha cambiato verso inaugurando, con il Next Generation Eu, la stagione del debito pubblico europeo destinato a tutti i paesi.

E, ironia della sorte, assegnando proprio all’Italia, tra i paesi più indebitati del mondo, la fetta più grande della torta.

Ed è a questo punto che, mentre il governo Conte era sballottato tra le montagne russe dell’emergenza sanitaria, a insidiare l’appetito del Coronavirus è piombata l’idea di un governo di salvezza nazionale con Renzi e Salvini, da entrambi reclamato e perciò da temere come una calamità nazionale.

Un governo di disgrazia pubblica. In profonda sintonia con il manifesto di Confindustria che indicava la rotta: prima la borsa poi la vita.

Nel frattempo mentre le opposizioni urlavano in Tv e in Parlamento contro il presidente del consiglio accusato di essere “un criminale”, sul fronte centrosinistro, proprio nell’anniversario del 25 Aprile, la Fiat stampava il suo marchio su Repubblica mettendo in campo le notevoli armi di persuasione rispetto agli assetti politico-istituzionali, presenti e futuri. Con la blasonata testata, sventolata e applaudita dalle destre in Parlamento.

Con De Benedetti al lavoro per fondare un altro quotidiano, mentre giurava in tv che Conte faceva più danni di Berlusconi.

Con Renzi, proprio lui, che invocava la resistenza in difesa della Costituzione contro il dittatore di palazzo Chigi. Salvo poi acconciarsi tutti a votare il primo scostamento di Bilancio di 55 miliardi di euro assegnati a famiglie, disabili, spettacolo, lavoro di cura, debiti della pubblica amministrazione, imprese.

Una pioggia di bonus sotto la quale tutti gli ombrelli sono rimasti accuratamente chiusi per bagnarsi meglio e di più.

L’autogol di una crisi di governo con lo sbocco elettorale, criticata ieri dalla Cgil di Landini (“non è il momento di votare”), accompagna questi ultimi giorni del 2020, con il paradosso che le spinte più forti anti-governative non vengono dalle opposizioni ma dalla stessa maggioranza, e principalmente da un politico, giovane promessa del passato, che ama i folli giri di giostra e che anche questa volta, potrebbe di farsi male, pur cadendo dalla minima altezza della sua credibilità.

Il governo rischia molto, appare fragile, diviso e combattuto tra spinte diverse. E anche se incassa la fiducia sulla legge di Bilancio dovrà arrivare alla prova del nove del Recovery plan, crocevia politico delle settimane che ci aspettano.

Per noi, per il manifesto, questi sono gli ultimi giorni che ci separano dai 50anni di vita. Nonostante la spada di Damocle dei Fondi dell’Editoria pesi sulle nostre spalle, come i lettori ben sanno, sarà un 2021 importante, l’occasione per prendere, dalla nostra lunga e straordinaria storia, l’energia necessaria per guardare ai prossimi decenni del giornale e della sinistra.

In un Continente cambiato dall’emergenza sanitaria; in un Pianeta stravolto da una crisi climatica giunta a un punto di non ritorno e foriera di trasformazioni geopolitiche; in un mondo che vede uscire Trump se non dalla scena, certamente dalla Casa Bianca, un giornale politico, una testata storica come il manifesto, ha ancora molto lavoro da fare.

Sperando in un anno migliore, tanti auguri alle compagne e ai compagni, alle lettrici e ai lettori che ci accompagnano da sempre.