Sul «caso Renzi» il Pd abbassa subito i toni. Sarà quel durissimo «inaccettabile» scagliato dall’Associazione nazionale magistrati all’indirizzo dell’accusa di «giustizia a orologeria» messa nero su bianco da Matteo Renzi (che letteralmente, su facebook, ha parlato di «capolavoro mediatico). «Non è accettabile parlare di interventi orientati, mediaticamente pilotati o aventi finalità politiche» scrive la giunta dell’Anm. Ma soprattutto la chiusa è severa: «Vogliamo evitare dannosi tuffi in un passato che non vogliamo più rivivere e interrompere un refrain che rende una cattivo servizio ai cittadini». Il riferimento ai tempi delle indagini sull’ex Cavaliere è trasparente.

ED È PROPRIO BERLUSCONI a schioccare «il bacio della morte» all’ex partner del Patto del Nazareno raccontando in tv, con un po’ di malizia, di avergli telefonato per esprimergli solidarietà.
Ma non è solo questo a mettere la sordina alla polemica nel gruppo dirigente democratico. Nella giornata di ieri al malumore nei confronti di toni definiti «berlusconiani» contro i magistrati si è sostituito il calcolo di chi teme che lo scontro con i pm vada troppo controvento rispetto a quel populismo giudiziario diffuso ben oltre le file dell’M5S – che lo professa senza complessi – e che raffreddi i già scarsi entusiasmi fin qui suscitati dalle primarie del 3 marzo.

DUE SU TRE CANDIDATI buttano dunque acqua sul fuoco. Per Renzi resta la «solidarietà umana», naturalmente. «Non si lascia solo nessuno quando si ritrova in certe situazioni», dice Matteo Richetti. E Maurizio Martina ribadisce che Renzi «non può essere attaccato per fatti che riguardano i genitori». Ma il capogruppo alla camera Graziano Delrio sottolinea la «totale fiducia nella magistratura». E Nicola Zingaretti chiarisce a La7: «Non ho mai creduto alla teoria del complotto della magistratura. Così però come sono sempre stato garantista», quindi no «alla «lapidazione politica e mediatica».

A criticare la tempistica della procura di Firenze e l’arresto dei due coniugi Renzi restano ormai in pochi. Il costituzionalista Stefano Ceccanti: «In democrazie, in società aperte, nessun potere è infallibile e al riparo della critica. Col dovuto rispetto è quindi criticabile anche qualsiasi atto del potere giudiziario», twitta. «Del resto se i costituzionalisti scrivono note a sentenza criticando tra l’altro anche la Corte Costituzionale sarebbe strano se non si potessero fare critiche motivate anche in sede politica. Rispetto sì, sudditanza no».

RENZI NON PARLA, anche per il “consiglio” dei legali di famiglia. Del resto già martedì scorso, a meno di un giorno dall’arresto, l’avvocato Federico Barattini aveva partecipato a Un giorno da pecora, trasmissione satirica su Radio1, e lì aveva pronunciato una frase non entusiastica sugli sfoghi pubblici di Renzi («colpiscono loro «per colpa del mio impegno civile. E mi piacerebbe dire: prendetevela con me», aveva detto l’ex premier). L’avvocato era stato lapidario: «Se io mi nutrissi di questi argomenti per difendere i Renzi non vincerei la causa».

A DIFENDERLO «SENZA SE e senza ma» restano però i fedelissimi. Andrea Marcucci, capogruppo al senato, invita tutti i parlamentari Pd a un «Renzi Pride» a Torino, dove venerdì riprenderà il tour della presentazione del libro «Un’altra strada». Per l’occasione l’ex segretario Pd ha annunciato di aver prenotato una sala di capienza doppia rispetto a quella disertata lunedì scorso a ordinanza eseguita. «Matteo ha interrotto le presentazioni del suo libro, che è un bel libro, per queste vicende giudiziarie. Un momento di nostra vicinanza credo sia opportuno e necessario, un gran bel segnale da parte del popolo democratico», dice Marcucci. È un appello al «popolo renziano», ammesso che ci sia. E verso il Pd che si avvia alle primarie è quasi una provocazione visto che il libro è quasi il manifesto di una scissione.