«Il governo pensa di poter decidere chi deve fare il giudice ma questo non è consentito. I governi non possono decidere i giudici». Scaduto il tempo delle trattative, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Piercamillo Davigo, adegua i toni alla profondità del dissenso che ormai da settimane divide il sindacato delle toghe dall’esecutivo, accusato dai magistrati di non aver rispettato gli impegni politici, anche se a Palazzo Chigi non siede più Matteo Renzi con il quale erano cominciate le trattative. Come promesso fin da sabato scorso, per la prima volta l’Anm ha disertato la solenne cerimonia in Cassazione, spiegandone le ragioni subito dopo in conferenza stampa.

«Noi abbiamo cercato una soluzione che riportasse nell’ambito costituzionale quanto era accaduto. Era stato preso un impegno formale, scritto, ma non è stato rispettato. Quello che è accaduto non può essere accettato perché è un vulnus che non ha precedenti nella storia della Repubblica, nella indipendenza e autonomia della magistratura. Questo è il punto in questione decisivo», ha aggiunto Davigo che si è detto però «disponibile» se il governo decidesse di voler «ricomporre lo strappo».

Alla base dei motivi del dissenso con il governo, c’è in particolare la mancata modifica della norma che proroga le pensioni fino a 72 anni solo ai vertici della Cassazione, e provvisoriamente anche ai giudici di merito. Misure confezionate allo scopo di tamponare le carenze d’organico della magistratura. Viceversa, Davigo sarà presente domani all’apertura dell’anno giudiziario a Milano – e altri esponenti del sindacato in tutti i distretti di Corte d’Appello – per esprimere «vicinanza ai colleghi di tutta Italia che devono sopperire alle grandi carenze che in questo momento tutti viviamo», come ha spiegato il segretario Francesco Minisci. Al governo l’Anm chiede «non leggi di corto respiro ma riforme sistematiche per ridurre i tempi dei processi», ma oltre alle «adeguate risorse» per risolvere i problemi di organico, di digitalizzazione, di edilizia giudiziaria e di sicurezza delle aule di giustizia, si limita a chiedere «interventi per affrontare l’emergenza dei migranti».

Ma l’altro punto di frizione dell’Anm, in particolare con il ministro Andrea Orlando sostenuto su questo punto dal primo presidente della Cassazione, è la riforma del processo penale. E alle parole di Giovanni Canzio, che ha esortato i pm ad una maggiore accuratezza nelle indagini per evitare le tante inchieste diventate processi mediatici e scoppiate poi come bolle di sapone alla verifica processuale, si sono aggiunte quelle del Guardasigilli che ha puntato il dito contro l’organizzazione delle Corti d’Appello, dove a causa del superamento dei tempi di prescrizione «vanno in fumo» buona parte dei processi.

Davigo ribatte a Canzio: «I controlli giurisdizionali sull’attività delle procure ci sono già, la richiesta di proroga delle indagini, le misure cautelari reali o personali sono emesse o comunque ricorribili davanti a un giudice». In ogni caso, il presidente dell’Anm ricorda che il suo no alla riforma è dovuto soprattutto all’obbligo per il Procuratore generale di avocare le indagini delle procure dopo tre mesi nel caso non fosse chiusa la fase precedente al rinvio a giudizio o all’archiviazione. Una norma che, secondo Davigo, rischia di «trasferire il carico di lavoro da un ufficio giudiziario all’altro».

Di tutt’altro avviso invece gli avvocati penalisti che, pur condividendo le parole di Canzio, propongono un passo ulteriore verso «la separazione delle carriere per terzietà del giudice», come dice il presidente dell’Ucp Beniamico Miliucci. Il quale ribadisce però un secco no alla proposta di Orlando di bloccare i tempi di prescrizione dopo il primo grado di giudizio.

Un plauso al discorso di Canzio «quando punta il dito sulla consuetudine tutta italiana di rimandare la soluzione su questioni etico-sociali “in via esclusiva” alla giurisdizione», viene infine dai Radicali italiani. Una prassi questa, spiega il segretario Riccardo Magi, «che consente a un legislatore pavido e irresponsabile di scaricare sui giudici decisioni fondamentali per le vite delle persone: dalle unioni civili al fine vita, dalla gestione del consumo di droghe alla fecondazione assistita».