L’autosospensione non basta, ci vogliono le dimissioni: è la decisione presa dall’Associazione nazionale magistrati, che ha riunito ieri il suo parlamentino per affrontare il caso Palamara e i sui riflessi nel Consiglio superiore della magistratura. Martedì quattro componenti del Csm si sono messi in stand by perché coinvolti, ma non indagati, nell’inchiesta della procura di Perugia intorno alla nomina del nuovo capo del tribunale di Roma, dopo il pensionamento di Giuseppe Pignatone. Una cordata capeggiata dal pm capitolino Luca Palamara, leader di Unicost, capace di coinvolgere i togati della sua stessa corrente e di Magistratura indipendente con, alle spalle, i due parlamentari Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri (pure lui magistrato ma in aspettativa), avrebbe tramato per bloccare la nomina di Francesco Lo Voi in favore di Marcello Viola.

L’ANM È ARRIVATA alla riunione dopo una polemica tra il presidente Pasquale Grasso (Mi) e il vice Luca Poniz (Area): il primo aveva detto di ritenere i rapporti tra togati e politica «fisiologici», il secondo li aveva definiti «uno scandalo». Ieri la ricomposizione: «Chi avesse davvero partecipato a un tale sviamento della funzione – ha precisato Grasso – non potrebbe essere un mio rappresentante nell’organo di autogoverno dei magistrati. L’autosospensione non basta».

Con Palamara (accusato di corruzione), i magistrati indagati per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio sono Stefano Fava (autore di un esposto contro Pignatone e il suo aggiunto Paolo Ielo che, secondo i pm umbri, doveva servire a screditarli) e Luigi Spina, ex togato di Unicost del Csm (si è dimesso la scorsa settimana). Fava martedì durante l’interrogatorio ha negato ogni addebito. Nelle intercettazioni ci sono anche i quattro togati (non indagati) che si sono autosospesi: Gianlugi Morlini (Unicost), Corrado Cartoni, Paolo Criscuoli e Antonio Lepre (tutti e tre di Mi). Il Csm martedì aveva preso atto della loro decisione accogliendola con favore, l’Anm è stata più intransigente: «Non mi accontento di quel che ho sentito al plenum. I colleghi consiglieri coinvolti non avrebbero fornito smentite, chiarimenti. Chiediamo che il Csm condivida con l’Anm gli atti ostensibili dell’indagine per permetterci di capire», ha precisato Grasso.

CON UN DOCUMENTO unitario, il comitato direttivo dell’Anm ha sottoscritto la richiesta di dimissioni per tutti i consiglieri del Csm coinvolti: «Emergono gravissime violazioni di natura etica e deontologica. Tali condotte rappresentano un’inammissibile interferenza nell’autogoverno della magistratura». Palamara, Ferri, Spina, Lepre, Cartoni, Criscuoli e Morlini sono stati deferiti al collegio dei probiviri. «La richiesta di dimissioni è priva di fondamento e basata solo su articoli di stampa» la dura replica di Cartoni, Lepre e Criscuoli. Cartoni ha poi rincarato: «Il modo di procedere dell’Anm è stato sommario. Si è perso il senso della ragione».

Dalle carte di Perugia sembrerebbe emergere un quadro talmente grave da richiamare lo scandalo P2. Incontri a tarda notte in hotel, a cena o a casa: 7 giorni, dal 9 al 16 maggio, di trattative per le nomine degli uffici giudiziari, in particolare di Roma, Perugia e Brescia. Le ultime due sono pedine fondamentali: la procura umbra è competente a indagare sui magistrati della capitale e quella lombarda su Milano, dove i pm lavorano al caso Eni che coinvolge gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, sospettati di aver corrotto Palamara.

AGLI INCONTRI C’ERANO Palamara, Lotti e Ferri, Spina e i quattro autosospesi, l’ultimo in un albergo della capitale: il gruppo valuta quanti voti hanno a disposizione per far eleggere Viola come procuratore capo a Roma. Alle riunioni avrebbe partecipato anche il patron della Lazio, Claudio Lotito.

arebbe stato coinvolto anche il sostituto della Direzione distrettuale antimafia Cesare Sirignano, ma per la successione alla procura di Perugia. La sua compagna, Ilaria Sasso Del Verme, è al Csm: si occupa di formulare le proposte al plenum con i curricula dei candidati. Secondo i pm umbri, Palamara avrebbe voluto influenzare il nuovo capo a Perugia per bloccare l’inchiesta su di lui mentre a Roma puntava alla carica di aggiunto. L’esposto di Fava sarebbe stato utile per bruciare i magistrati che avrebbero rappresentato la continuità con Pignatone. Anche Lotti avrebbe avuto un suo interesse: bloccare a Roma l’inchiesta Consip, in cui è coinvolto. Se Lo Voi non era gradito, nemmeno il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, che aveva firmato l’arresto dei genitori di Matteo Renzi, aveva il profilo giusto. «Nessuno sapeva che sarebbe venuto Lotti» è la difesa dei tre togati di Magistratura indipendente: erano a cena con Ferri, si sarebbero spostati nell’albergo dove alloggia per incontrare i colleghi di Unicost.