Cosa resta di Hendrix il musicista, mezzo secolo dopo? Tutto, verrebbe da dire. Perché, esaurito anche lo sdegno – dovuto – del morboso attaccamento mercantilistico ad ogni reliquia sonora che possa garantire ancora introiti alla Hendrix Legacy, una seria ricognizione critica di quanto è oggi in circolazione sui dischi va a smentire seccamente quanto avevano paventato (e patito) gli hendrixiani nel primo decennio almeno dopo la scomparsa, il 18 settembre 1970, del chitarrista mancino: un’information overload fatta di uscite di materiali scadenti e grezzi, che Hendrix non avrebbe mai voluto circolassero, perché mere prove, tentativi, work in progress. È vero, l’opera di Hendrix si può anche considerare compiuta nella secca progressione di date scadenzate tra Are You Experienced e il finale Band of Gypsys, non mettendo nel lotto neppure quel Cry of Love uscito una prima volta in maniera precaria e raccogliticcia, a ridosso della morte, e poi in più degna e accurata veste anni dopo. Però oggi, mezzo secolo dopo la morte «maledetta» di Jimi, che sia o non sia stata causata dalle sue ansie, da soccorritori poco attenti che non capirono che quel ragazzo esile stava soffocando, o, come è stato sostenuto, un omicidio pianificato dal manager Michael Jeffrey, purché Hendrix, in procinto di mollarlo, con la sua assicurazione sulla vita da due milioni di dollari valeva assai più da morto che da vivo, bisogna dire che conosciamo un mole di materiale davvero imponente, e in molti casi davvero affascinante, sulla tumultuosa spinta creativa che possedette Hendrix nell’ultimo paio d’anni della sua vita già di per sé piuttosto convulsa.

OCCASIONI MANCATE
Cosicché si conferma sia l’aneddotica spicciola, quella delle grandi occasioni «storiche» mancate, di cui tratteremo a breve, sia il ben più rilevante affiorare concreto di un pensiero musicale inquieto e mercuriale, ormai del tutto insofferente alle logiche «di genere»; che avrebbero portato Hendrix ad essere un musicista totale e inserito in un’unica e imponente corrente: quella della grande musica afroamericana, di volta in volta declinabile in jazz, blues, funk, e quant’altri rivoli e affluenti vogliate contarci dentro. Con largo spazio lasciato all’improvvisazione individuale e collettiva, non alla ripetizione da copia conforme dei brani apparsi su disco.
Un percorso già intuibile nelle avventure sonore ancora imperfette – ma quanto potenti – della sua «Compagnia degli Zingari» finale. A volte chiamata anche «Sole Zingaro e Arcobaleno». Che peraltro non corrispondeva neppure, nella struttura a organico limitato (imposta da manager pavidi intimoriti da svolte troppo lontane dalla logica della ripetizione), a quanto avrebbe voluto davvero attorno a sé sul palco: un affollato circo di musicisti, forse a simulare la tavolozza pirotecnica della Arkestra di Sun Ra, che ammirava. E resta poi, per incredibile che possa apparire, una gran mole di materiale registrato inedito: con B.B. King, con John McLaughlin, con Brian Jones, con Stephen Stills. Hendrix era un workaholic della musica, non perdeva occasione per fissare su nastro quanto gli girava in testa, una volta che ebbe danaro sufficiente per farlo, e per avviare sorprendenti collaborazioni. Molte devono ancora vedere la luce in veste ufficiale.

TELEFONI E LETTERE
Si diceva dell’aneddotica: è appena il caso di ricordare due fatti che occupano gran parte dell’immaginario «what if», dunque «cosa sarebbe successo se…» degli ultimi scorci di vita di Hendrix, bizzarra capriola del destino per un musicista affascinato dalla fantascienza, e dunque dai percorsi possibili «se fosse successo che». Ad esempio cosa sarebbe successo davvero se Jimi avesse inciso con Miles Davis Bitches Brew: sappiamo che Jimi gli parlò al telefono, sappiamo che il chitarrista gli spiegò che voleva accanto anche Roland Kirk, il fiatista cieco che aveva illuminato la musica di Charles Mingus. Sappiamo anche che Gil Evans, che di Miles era stato la spalla sonora per dischi epocali, gli aveva proposto di incidere i suoi brani, alle spalle un’orchestra scalpitante e ruggente.
Jimi lo sfiorò, Miles: nelle persone di John McLaughlin e Dave Holland, con cui suonò davvero in jam. Ma restò lettera morta travolta e dimenticata dagli eventi anche la clamorosa proposta di Jimi arrivata via telegramma il 21 ottobre del ’69 agli Abbey Road Studios, e indirizzata a Paul McCartney. Che era in vacanza in Scozia e la lesse molto dopo. Il testo diceva: «Che ne dici di venire a New York e incidere un disco? Te al basso, io alla chitarra, Miles Davis alla tromba, Tony Williams alla batteria. «The Lost Record», il disco perduto resterà tale: un telegramma ingiallito oggi appeso alle parete dell’Hard Rock Café di Praga.