Maurizio Landini, lei questa mattina parlerà dal palco di Palermo, in una delle cinque manifestazioni convocate dalla Cgil sulla vertenza pensioni. Che sensazioni ha alla vigilia?
Ho buone sensazioni. Nelle tante assemblee fatte in questi giorni ho sentito grande attenzione, consenso e in un certo senso aspettativa. I lavoratori condividono il nostro giudizio sulla trattativa e la domanda che veniva fatta più spesso era: “Questa volta fate sul serio?”. Le pensioni sono un tema sentito non solo da chi non vede l’ora di andarci, ma anche da chi è più giovane e vuole certezze sul futuro. La scelta fatta dalla Cgil è strettamente sindacale: un raffronto fra ciò che avevamo chiesto e ciò che è stato ottenuto. La manifestazione è un inizio di mobilitazione: la richiesta a questo e al prossimo parlamento e al prossimo governo è di cambiare realmente la riforma Fornero.

Le sole tre ore di sciopero del 12 dicembre 2011 quando la riforma pensionistica fu approvata sono ancora una ferita. Oggi la superate o è un modo per lavarvi la coscienza per quell’errore che i lavoratori vi continuano a rimproverare?
Che quello fu un errore e creò una cesura con i lavoratori è sotto gli occhi di tutti. È una ferita ancora aperta perché le persone stanno ancora vivendo sulla loro pelle la follia di andare – unici in Europa – in pensione a 67 anni quando i loro figli sono ancora disoccupati o precari. Io penso che la credibilità il sindacato la riconquista essendo coerente: a quello che diciamo devono seguire i fatti. E questa volta lo facciamo: siamo in piazza per bloccare l’innalzamento, per una flessibilità in uscita, per una pensione dignitosa anche per i giovani, per il riconoscimento del lavoro di cura e la diversità di genere per le donne. Ma siamo in piazza anche per dire che la manovra del governo è insufficiente e ingiusta perché continua sulla strada dei bonus.

Lei pensa veramente che con il prossimo governo potrete ottenere di più sulle pensioni?
Innanzitutto da palazzo Chigi abbiamo portato a casa le briciole. Il sindacato deve avere il coraggio di dire la verità, rimanendo autonomo e indipendente. Il problema per me non è fare pronostici su chi vincerà le elezioni, ma aprire una vertenza forte a prescindere da quale governo ci sarà. Anche perché non è che con questo governo abbiamo ottenuto chissà quali successi: la condizione dei lavoratori e dei pensionati è peggiorata.

Siete però in piazza da soli. Se evitando la firma a palazzo Chigi la rottura non è stata esplicitata, l’unità sindacale con Cisl e Uil tanto faticosamente riconquistata in questi anni ora è a rischio.
Faccio presente che noi andiamo in piazza a sostegno della piattaforma unitaria firmata anche da Cisl e Uil un anno e mezzo fa. Sono loro che hanno cambiato idea, non noi. E per questo credo che sia necessario definire regole cogenti: se c’è una piattaforma unitaria non è che poi ad un certo punto qualcuno si sente libero di non rispettarla. Il vincolo deve essere quello del rapporto con i lavoratori: per rilanciare l’unità di azione sindacale serve che si parta dai lavoratori.

In piazza con voi ci saranno anche gli esponenti di Mdp, di Sinistra Italiana, di Possibile che domani faranno nascere un nuovo soggetto unitario a sinistra.
Penso che ci sia bisogno di tornare a mettere il lavoro al centro della politica. Oggi l’astensionismo e il disinteresse per la politica che si determinano sono dovuti al fatto che le persone non riconoscono più la loro condizione come qualcosa per cui i partiti si battono. Qualunque iniziativa che punti a cambiare le cose è utile. Credo però che sia necessario che questo soggetto abbia un carattere di novità e che aspiri ad una rappresentanza più ampia. La Cgil è comunque in grado di confrontarsi alla pari con tutte le forze politiche perché mai come oggi c’è bisogno di autonomia dai partiti.

Il rapporto del Censis di ieri certifica come le famiglie in povertà totale siano raddoppiate e sottolinea come sia quasi auspicabile un conflitto sociale invece assente. Secondo lei perché?
In realtà il conflitto sociale c’è ma non riesce ad avere un carattere collettivo. C’è una grande frammentazione, addirittura competizione fra i lavoratori. Come dimostrano i casi di Amazon e Ikea le imprese arrivano a ricattare i lavoratori: o accetti le loro condizioni oppure non lavori. Proprio perché stanno aumentando le diseguaglianze fra lavoratori c’è la necessità di un grande sindacato confederale che tenga tutti assieme. Il conflitto è il sale della democrazia, va recuperato come valore e questo dovrebbe interessare a tutte le forze politiche.

Lei è al tavolo Ilva. Giovedì Michele Emiliano ha esplicitato di puntare a far tornare AcciaItalia con Jindal e quella Cassa depositi e prestiti che lei invoca.
Penso che sia privo di senso pensare di scegliersi la controparte. Oggi il problema è fare i conti con la trattativa che è aperta con Arcelor Mittal per far aumentare e partire gli investimenti per l’ambientalizzazone di Taranto e tutelare tutti i posti di lavoro. Per garantire al meglio questo discorso da tempo chiediamo che entri nel capitale il pubblico: non solo Cpd, ma anche – come succede in molte parti d’Europa – anche le stesse regioni come la Puglia.