«Noi continuiamo a chiedere al governo, ogni giorno, che venga fissata la data dei referendum. E che venga accorpata a quella delle amministrative, perché significherebbe anche un risparmio di spese per i cittadini». Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, è impegnato già da diverse settimane nella campagna per sostenere i due quesiti su voucher e appalti, come d’altronde lo sono i colleghi sindacalisti, a partire da Susanna Camusso.

Pensate che il quorum sia a portata di mano?

Non ci nascondiamo che non è un obiettivo facile, scontato. Bisogna portare a votare 26 milioni di persone: i segnali che vedo, però, sia dal mondo del lavoro, ma più in generale anche dai giovani, dagli stessi imprenditori, mi confortano. Adesso però è importante che il governo fissi una data, come ho detto, e che possibilmente coincida con le prossime elezioni amministrative.

Quindi anche alcuni imprenditori sarebbero interessati a partecipare al voto?

Parlo ovviamente di quelli che puntano sugli investimenti e l’innovazione, sulla qualità del lavoro: imprese che fanno concorrenza sleale tramite l’uso smodato dei voucher e gli appalti al massimo ribasso rappresentano per loro uno degli ostacoli maggiori.

Insomma confidate nella voglia di partecipare.

Beh, se ragioniamo sul referendum del 4 dicembre, dove sono andati a votare quasi il 70% degli aventi diritto, la possibilità c’è. E ricordo che si è trattato di sei milioni in più di v otanti rispetto alle elezioni europee: persone che evidentemente non si sentivano rappresentate da nessun partito, hanno poi deciso di esprimersi sulla Costituzione. Era anche un esplicito voto di dissenso rispetto alle scelte economiche e sociali del governo Renzi.

E rispetto al governo Gentiloni? Secondo voi deve durare fino a fine legislatura per affrontare i dossier più urgenti? Magari anche i vostri?

Il mio problema non è la durata, ma cosa fa. Se volesse potrebbe fare una legge che cancelli i voucher e una nuova normativa sulla responsabilità solidale negli appalti. C’è il problema delle pensioni, di far ripartire gli investimenti. E a fine anno si riapre la discussione sul Fiscal compact: dobbiamo ripensare quei vincoli che ci hanno addirittura portato a inserire il pareggio di bilancio in Costituzione, riuscire a scorporare dal conteggio del deficit gli investimenti. Un altro nodo è il reddito di dignità. E infine una riforma seria degli ammortizzatori sociali: è assurdo che a una impresa costi di più ricorrere alla cassa integrazione o al contratto di solidarietà che non fare dei licenziamenti.

Il dibattito riaperto a sinistra, dalla nascita di Sinistra Italiana alla scissione del Pd, è interessante per chi lavora? Si prepara a vostro parere più un nuovo Ulivo o un secondo Patto del Nazareno?

Io parto sempre dall’autonomia del sindacato, e mi pare che la Fiom e la Cgil – con i due referendum e la Carta dei diritti universali del lavoro – l’abbiano dimostrata in pieno. Se poi posso dire la mia sul Pd, mi pare che la scissione venga proprio dal non aver voluto affrontare fino in fondo il tema del lavoro e della condizione delle persone che lavorano. C’è una domanda di unità, oggi, nel Paese: abbiamo fatto un contratto unitario con Fim e Uilm, introducendo elementi di innovazione importanti. Nessuno di noi ha rinunciato alle sue idee, ma abbiamo trovato un compromesso con le imprese. E soprattutto Federmeccanica ha accettato che l’accordo è valido dopo che la maggioranza dei lavoratori lo ha approvato.

Tra un anno la Cgil riunirà il congresso, e presto la Fiom dovrebbe entrare in segreteria confederale. State convergendo su tutti i temi? Su partecipazione, elezione dei dirigenti, pratiche d’azione?

Mi pare che il percorso di referendum e Carta – mi ripeto – dimostri una convergenza. Poi io vorrei discutere di temi come la riduzione del numero dei contratti, di una rappresentanza più ampia di tutte le forme di lavoro, come estendere e redistribuire il lavoro, come far partecipare di più i nostri iscritti, le delegate e i delegati.