Chi ha vinto le elezioni regionali è un solo partito: quello degli astenuti. Il dato omogeneo in tutte le regioni del 53,90% rispetto al 64,13% del 2010 è diventato un’occasione per riflettere sulla crisi della democrazia nell’incontro «Il diritto alla libertà, il dovere della libertà» organizzato ieri da Giustizia e Libertà alla città dell’altra economia di Roma in occasione della festa della Repubblica.

Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky, Sandra Bonsanti e Paul Ginsborg, oltre a studenti e docenti come Giovanni Cocchi attivi nel movimento contro la «Buona Scuola» di Renzi e del Pd. «Milioni di persone che non votano, non fanno parte dell’anti-politica. Non si riconoscono nella politica in quanto tale» ha detto il segretario della Fiom Maurizio Landini che sabato e domenica prossimi parteciperà ai lavori della «coalizione sociale» al centro congressi Frentani. Un astensionismo di queste dimensioni è diventato negli anni della crisi la regola costitutiva della vita politica in un paese dove la partecipazione al voto è tradizionalmente alta. «È anche la dimostrazione che c’è un paese che non è d’accordo con quello che sta avvenendo». La tesi di Rodotà ha spinto ad un’analisi delle riforme del governo Renzi. La logica che ispira l’Italicum, come il Jobs Act, o il «super-preside» imposto dal Ddl scuola ora al Senato «è quella dell’uomo solo al comando». Un processo «imposto dalla lettera della Bce al governo italiano nel 2011, Renzi non sta facendo nient’altro che questo» sostiene Landini. Per contrastare una marcia inarrestabile «bisogna mettere in piedi processi politici che unifichino la società frammentata tra appartenenze identitarie e un mondo di lavoratori in competizione» ha aggiunto Landini.

In attesa che la «coalizione sociale» prenda forma, e acquisti una sua fisionomia, sul tavolo c’è l’ipotesi del referendum contro il Jobs Act e un altro contro la riforma della scuola. Landini sostiene un ritorno ad una contrattazione sociale diffusa che parta dalla difesa, e dalla completa applicazione dei contratti nazionali di lavoro, e si allarghi anche ad altre sfere del sociale.
Il punto di riferimento è lo Statuto dei lavoratori da cui il governo Renzi ha cancellato l’articolo 18 con il Jobs Act. «Quello statuto impediva di essere licenziati senza giusta causa, vietava il controllo a distanza e il demansionamento». Tutte norme introdotte invece da Renzi. «In nome della sua presunta modernità – ha attaccato Landini – il Jobs Act non tutela tutte le persone, ma solo gli imprenditori. è un passaggio formale che rovescia i valori sostanziali della cittadinanza».

Alla coalizione sociale Landini non affida il ruolo guida di un partito, bensì di un vettore che riunifichi il lavoro, e le sue rappresentanze, così come le associazioni sempre numerose e altrettanto divise. L’obiettivo è ricostruire i «corpi intermedi», oggetto dell’offensiva renziana, e riposizionarli in una società dove la rappresentanza è distrutta. Non più organi della mediazione burocratica ma della «democrazia diretta per difendere gli interessi comuni».