È una bizzarra e inquietante sensazione quella che si prova in questi giorni in America, come se dal 3 novembre la realtà si forse biforcata negli universi paralleli e incompatibili di una precaria fantapolitica. Il giorno delle elezioni è stato preparato da quattro anni di fake news ed un assalto senza tregua alla verità condivisa. Ora, mentre Biden assembla la sua squadra e riceve le congratulazioni di capi di stato, Trump lancia il definitivo affondo complottista sul “furto elettorale.”

La campagna sulla “gigantesca frode” era stata preventivamente preparata nelle settimane precedenti in previsione di un esito con uno, o un paio, di swing states in bilico: una strategia a base di dubbi seminati nella piazza e tribunali ingolfati di ricorsi. Non è andata così e il risultato difficilmente potrà essere ribaltato per vie legali. Il capo però sembra intenzionato a giocare comunque la carta del caos costituzionale per mettere alla prova gli argini già scricchiolanti di un impianto istituzionale che si è mostrato insufficiente a contenere tutte le sue intemperanze.

È importante ricordare che non vi è nel sistema frazionato e federale americano una somma e definitiva autorità super partes che possa aggiudicare una diatriba elettorale di questa portata. Il sistema dipende in qualche modo dall’accettazione collettiva delle regole fondamentali del gioco.

Col rifiuto del risultato si gioca dunque una partita pericolosa e volatile per la quale non esistono precedenti, Trump è un anatra zoppa e imbizzarrita, che punta ancora una volta sulla sovversione della realtà. E la democrazia americana dovrà in qualche modo vedere il bluff del demagogo insinuatosi al suo vertice.

Per il momento la Casa bianca si comporta come se avesse del tutto rimosso l’ultima settimana, intralciando in ogni modo la “transizione pacifica del potere” che Trump aveva peraltro sempre dichiarato di non voler accettare. Così Emily Murphy, direttrice del General Services Administration rifiuta di versare a Biden i $10 milioni che la legge mette a disposizione del presidente entrante per predisporre l’insediamento.

Chiuso nel suo palazzo (“come un fuggitivo barricato con ostaggi”, lo ha definito Frank Figliuzzi, ex vicedirettore del Fbi) Trump ha epurato in un giorno le massime cariche del Pentagono e ordinato al ministro di giustizia (il fedelissimo William Barr) di autorizzare indagini sui brogli. Ha perfino ordinato di procedere col lavoro sulla finanziaria – da presentare a febbraio(!)

Ogni tassello pensato per destabilizzare, quantomeno, una transizione che per ora viaggia su binari paralleli e opposti. I telegiornali danno bollettini sulle dichiarazioni del presidente in pectore e pronosticano i ministri del suo gabinetto e allo stesso tempo Fox news e maggiorenti repubblicani parlano di “risultati ancora non definiti” delle elezioni di una settimana fa. Sui giornali si alternano in parti uguali pronostici sulla prossima era Biden e corsivi indignati sull’eversione implicita nella paradossale situazione.

La tesi della vittoria di Biden come conferma auto evidente della truffa, ha fatto facile presa su una base radicalizzata da una dieta industriale di mistificazione. Fondamentale sarà verificare se la parte più patologica e complottista (vedi Qanon) potrà o vorrà superare la dissonanza cognitiva della sconfitta “impossibile”. Occorre poi capire il gioco dei quadri di partito.

Dopo un iniziale apparente riluttanza sembra essersi consolidata la linea del “diritto al ricorso legale” per le fantomatiche frodi. Potrebbe, è vero, essere solo una strategia per mollare Trump in modo soft, soprattutto senza alienare la base populista che ha ingrossato le fila del partito (e ancor necessaria ad esempio ai fini dei ballottaggi in Georgia a gennaio). Secondo questa tesi, il capo verrebbe “assecondato” per dargli modo di costruite una narrazione plausibile per un uscita a “testa alta.”

Comunque sia è una strategia che sta piantando semi di dubbio sulla legittimità del nuovo presidente, destinati a germogliare in frutti velenosi fra i trumpisti fanatizzati. E se pure Biden arriverà ad insediarsi il 20 gennaio, le sue prospettive di governo non sono confortanti.

Perché sul sabotaggio “istituzionale” della democrazia i repubblicani sono sostanzialmente compatti. Da trent’anni la strategia del Gop, partito in cronico declino demografico (i democratici hanno vinto il voto popolare in sette delle ultime otto elezioni) consiste nel delegittimare e sopprimere il voto avversario e utilizzare il collegio elettorale per governare dalla minoranza.

Fondamentale per questo disegno è il controllo del senato, in cui la maggioranza di senatori repubblicani rappresenta una minoranza di cittadini. Mitch McConnell ha potuto così paralizzare il secondo mandato Obama, usurpando la sua ultima nomina alla Corte Suprema e blindando la magistratura. Quest’anno i repubblicani sono riusciti in extremis ad approvare la togata reazionaria Amy Coney Barrett a ridosso delle elezioni.

In questo paese la cui fondazione fu progetto rivoluzionario e radicale – ma attuato da facoltosi proprietari terrieri con una Costituzione pensata per preservare il potere a scapito donne, poveri, nativi e schiavi – l’attuale partito dei bianchi, il Gop, ha un altro obbiettivo strategico: limitare ulteriormente la rappresentazione delle minoranze emergenti.

A questo scopo l’amministrazione Trump ha chiuso anzitempo il censimento in corso fino al mese scorso. Dal conteggio della popolazione dipende infatti il numero di rappresentanti alla camera che spettano ad ogni stato. Le stime inferiori così in Stati con grandi popolazioni di immigrati e minoritarie assicurano che roccaforti democratiche come California e New York possano perdere rappresentanti alla camera.

In regime federalista la forza repubblicana risiede in gran parte nel controllo di un numero maggiore di stati (anche se meno popolati). Una situazione che produce un vantaggio anche nel disegnare le circoscrizioni elettorali per favorire i propri candidati – il famigerato gerrymandering – e allungare l’ombra della minoranza sul futuro.

Infine i repubblicani hanno anche il potere di bloccare i ministri che Biden designerà per il proprio gabinetto: dovranno venire avvallati dal senato. Comunque vada, dopo il quadriennio populista, per Biden, e per l’America, si prospetta una democrazia ostruita e diminuita.