Lampedusa è a Berlino e ad Amburgo. Così recitavano i manifesti che invitavano a partecipare alle due manifestazioni tenutesi ieri, in contemporanea, nelle due metropoli tedesche. Indette dalle reti auto-organizzate dei richiedenti asilo che, da mesi, lottano in difesa della propria dignità. Sono quei migranti fuggiti dall’Africa settentrionale, dalla Libia in particolare, per scampare alla guerra e alle sue conseguenze, e approdati nell’isola siciliana. Erano i tempi della cosiddetta «emergenza Nordafrica» nel nostro Paese, gestita con assenza di umanità e colpevole approssimazione dal governo di Silvio Berlusconi. Molti di loro hanno raggiunto, una volta – si fa per dire – «cessata l’emergenza», altri stati d’Europa. E fra questi la Germania. Qui sono stati accolti non propriamente a braccia aperte, bensì segregati ai margini delle città, e messi nelle condizioni di non poter fare nulla. Né lavorare, né muoversi. In attesa di sapere un destino che per molti sembra già scritto: venire rispediti, in base alle regole europee conosciute come «Dublino 2», nel primo stato della Ue dove hanno messo piede. Una situazione intollerabile, contro la quale in molti si sono ribellati, dando vita a inedite forme di protesta. Come l’accampamento (tipo indignados) in una piazza berlinese nel quartiere Kreuzberg, o l’occupazione di una chiesa ad Amburgo. Ieri hanno sfilato, insieme ai molti che solidarizzano con loro, per chiedere di poter vivere da persone normali: lavorando e scegliendo dove abitare. Il governo tedesco fa finta di niente. E quando parla dei richiedenti asilo è solo per agitare, come ha fatto nei giorni scorsi il ministro degli interni, lo spettro di arrivi massicci. Senza dire, ovviamente, che la Germania sarebbe – come è – perfettamente in grado di accoglierli.