L’ipotesi che Silvio Berlusconi rientri nel provvedimento di amnistia e indulto che Napolitano ha sollecitato al parlamento è talmente remota che anche il ministro delle riforme Quagliariello nell’intervenire in favore del Cavaliere precisa: «Una legge dev’essere applicata a tutti i cittadini, non può essere né in favore né contro qualcuno in particolare». Appunto, sarà una legge – se mai le camere dovessero riuscire a mettere assieme i voti necessari (due terzi dei componenti di ogni assemblea) – generale e dai confini tracciati in parlamento. I reati fiscali resteranno fuori, semplicemente perché il Pd i cui voti sono indispensabili non reggerebbe l’alternativa. L’offensiva di Renzi ha solo consolidato una posizione già maggioritaria nel partito, e mal nascosta dietro la «cautela» del segretario Epifani. E i reati finanziari tutti dovrebbero restare fuori per l’altra ragione che «non sono stati mai presi in considerazione nei provvedimenti di amnistia e indulto», come ha detto più volte la ministra della giustizia Cancellieri, intendendo dire che non lo sono stati nell’ultima amnistia (in precedenza invece sì).

Le pressioni sul governo per trasformare un provvedimento inevitabile in qualcosa di comunque utile a Berlusconi non mancano, ma vengono tutte dall’ala lealista del Pdl che ha scarso ascolto a palazzo Chigi. Il Pdl tendenza Alfano sta già su un altro registro. Quagliariello disegna per Berlusconi un futuro non da leader del partito ma da combattente contro le persecuzioni giudiziarie: un ruolo che quasi consiglia una pena da scontare. E così Cancellieri può permettersi di tacitare Brunetta che le aveva raccomandato di non impicciarsi con i confini dell’amnistia, «invadendo il campo» del parlamento. «Non scippo le prerogative delle camere – ha detto -, ma al governo stiamo facendo le nostre considerazioni e le renderemo pubbliche». La ministra lo farà giovedì davanti alla commissione giustizia della camera, che ha avviato un’indagine conoscitiva sull’emergenza carceri in concorrenza con il senato dove oggi si comincia a discutere dei disegni di legge su amnistia e indulto. Non è escluso che l’esecutivo presenti una sua proposta. Enrico Letta con la controfirma al messaggio di Napolitano e con successive dichiarazioni ha condiviso l’urgenza, che solo l’amnistia e l’indulto possono garantire. È vero che trattandosi di materia parlamentare l’iniziativa del governo può apparire forzata, ma questo è anche il governo che sta facendo approvare a ritmi serrati un suo disegno di legge di deroga alla Costituzione.

Come da proposito generale del presidente del Consiglio, la trattativa sui confini dell’amnistia è stata riportata all’interno dell’esecutivo. Quagliariello tiene alto il fronte delle «colombe» berlusconiane, con dichiarazioni che si possono prestare a essere lette come una difesa di ufficio del Cavaliere, e con richieste concrete che invece sono assai più percorribili (e potenzialmente queste sì pericolose). La sollecitazione avanzata dal gruppo di ministri guidato da Alfano riguarda la giustizia nel suo complesso, in particolare quelle riforme lumeggiate dai «saggi» nominati dopo le elezioni dal Quirinale – tra i quali non a caso Quagliariello. È una via d’uscita indicata dallo stesso Napolitano, che crede veramente che il parlamento possa condurre in porto l’amnistia, e che solo per questo si è convinto a utilizzare infine l’arma del messaggio alle camere. Nell’elenco delle proposte dei «saggi» non ce n’è nessuna in grado di alleggerire la pressione sulle carceri, ce ne sono parecchie però considerate come un attentato dalla magistratura. Sarebbe curioso che per non essere accusato di aver aiutato Berlusconi (che in carcere non andrà comunque mai), il Pd si acconciasse ad esempio a limitare l’uso delle intercettazioni, come da richiesta storica dei berlusconiani. Le uscita da campagna elettorale di Renzi – che ieri è riuscito a dire nella stessa frase che discutere di amnistia è «un’assurdità» e che «è giusto l’intervento di Napolitano» (che ha proposto l’amnistia) – spingono verso questo esito paradossale.