Non è più il segreto di Pulcinella: i dati ufficiali sottostimano le vittime della pandemia. Ieri il presidente Rohani ha affermato che i contagiati sono probabilmente 25 milioni, e nella prossima ondata – in autunno – potrebbero essere colpiti ulteriori 35 milioni di iraniani. Citando i dati del ministero della Sanità, Rohani ha dichiarato: «Non abbiamo ancora raggiunto l’immunità di gregge e quindi non abbiamo altra scelta che di unirci e di spezzare la catena del contagio». Le autorità hanno quindi ordinato nuovamente la chiusura di moschee, istituti educativi e culturali, palestre, caffè, parrucchieri ed estetisti.

A PARTIRE DA IERI, per una settimana. Intanto, nella capitale Teheran i cassonetti sono stati dipinti di giallo, sopra un emoji con un sorriso triste oppure con la mascherina. Non vengono emessi visti turistici, e quindi le frontiere restano chiuse.
L’Iran sta attraversando una seconda, pesante ondata di Covid-19. Secondo la portavoce del ministero della Sanità, l’Iran avrebbe avuto un totale di 271.606 contagi (di cui 2.166 nelle ultime 24 ore) e 13.979 decessi (188 ieri), i test eseguiti in tutto il paese superano appena i due milioni, le persone in terapia intensiva sono salite a 3.529, mentre i guariti sono 235.300.

Le autorità avevano introdotto un lockdown a marzo, quando i casi avevano iniziato a salire, ma lo avevano allentato due mesi dopo perché costrette a rimettere in moto un’economia già prostrata dalle sanzioni, ancora prima della crisi sanitaria. L’Iran vanta la sedicesima posizione al mondo per pubblicazioni scientifiche in ambito medico e un buon sistema sanitario rispetto al resto della regione, eppure è tra i paesi più colpiti dalla pandemia fin nelle fasi iniziali e rappresenta uno dei focolai in Medio Oriente.

BLOCCATI DALLE SANZIONI Usa – che non sono state revocate nonostante l’emergenza – i tamponi per i test erano arrivati dalla Cina soltanto il 17 febbraio con un volo commerciale proveniente da Baghdad. Un mese dopo, la Turchia inviava un cargo con forniture di prodotti medici e sanitari. I primi due casi di Covid-19 si riscontravano il 19 febbraio nella località di Qum, meta di pellegrinaggio per 20 milioni di sciiti l’anno.

Oltre ai pellegrini, a Qum giungono turisti e studiosi provenienti da ottanta diversi paesi, tra cui molti cinesi: Pechino è il partner commerciale più vicino all’Iran, con il quale ha numerosi progetti di collaborazione avviati, ma purtroppo il legame con la Cina risulterà determinante nella diffusione del virus. Secondo un’inchiesta della Bbc in arabo, la compagnia Mahan Air (nella lista nera degli Stati Uniti per i suoi legami con i pasdaran) continuava fino al 20 aprile – nonostante il 31 gennaio il governo di Teheran lo vietasse esplicitamente – i voli tra l’Iran e la Cina, contribuendo in modo determinante alla diffusione del virus nell’area.

DI QUESTI TEMPI gli iraniani discutono parecchio di Cina, anche alla luce del recente accordo di 25 anni di cui i media non hanno però ancora pubblicato i contenuti ufficiali: «Finché non diciamo che cosa prevede l’accordo con Pechino, facciamo capire all’Occidente che vorremmo continuare ad averlo come partner ma che abbiamo nella Cina una valida alternativa», osserva al telefono da Teheran lo scrittore Mostafa Ensafi, autore del bel romanzo Ritornerai a Isfahan (Ponte33, 2019, traduzione di Giacomo Longhi). E aggiunge: «Corre voce che i vertici di Teheran abbiano venduto alla Cina delle isole in una posizione strategica, nel Golfo persico, su questo preferisco non esprimermi ma non ci sarebbe da stupirsi vista la grave crisi che attraversa l’Iran».