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Il modello comunicativo e di marketing impiegato dalle marche aziendali ha dimostrato da tempo la sua efficacia. Ciò spiega perché sia stato adottato negli ultimi anni da parte di numerosi soggetti: partiti, rockstar, società di calcio. Non deve sorprendere allora che anche un’organizzazione armata come Isis possa essere interpretata alla stregua di una vera e propria marca. A fianco delle azioni di natura bellica e terroristica, sviluppa intense attività di comunicazione, mediante video propagandistici e cruenti che vengono diffusi online e un efficace impiego del social media marketing. Il suo scopo è impaurire le popolazioni occidentali, ma anche promuovere la sua ideologia presso i possibili nuovi adepti.

IL SOCIOLOGO NELLO BARILE aveva già applicato il modello della «marca» al caso Renzi nel volume Brand Renzi (Egea), pubblicato nel 2014, e ora tenta di ripetere la stessa operazione con il fenomeno Isis. Lo fa nel volume Il marchio della paura. Immagini, consumi e branding della guerra all’Occidente (Egea, pp. 171, euro 18), che mette in luce come il terrorismo jihadista sfrutti le stesse strategie comunicative impiegate dal modello capitalistico neoliberista. Isis comunica infatti attraverso l’adozione nei suoi video di un linguaggio audiovisivo decisamente avanzato, che molti hanno considerato paragonabile, sul piano della qualità estetica, agli spot pubblicitari occidentali.

Dunque, comunica chiaramente che chi sta parlando non proviene da un mondo primitivo, ma è in grado di utilizzare al meglio le tecnologie occidentali più sofisticate. Il che rende il messaggio, oltre che emotivamente più coinvolgente, anche decisamente più inquietante per il pubblico occidentale, che sente improvvisamente scomparire quella differenza sul piano dell’avanzamento tecnologico e socioculturale che riteneva fosse in grado di proteggerlo. Percepisce che la barbarie terroristica è parte integrante di quello stesso mondo occidentale in cui è nato e cresciuto.

UN MONDO DOMINATO dalla cultura del consumo e che pertanto il terrorismo cerca di colpire troncando nettamente i legami delle persone con tale cultura attraverso la creazione di un senso di paura e d’incertezza. Ma, come sottolinea Barile, gli attentati terroristici di Isis sono anche il risultato della sofferenza degli stessi attentatori per la propria dipendenza dal sistema globalizzato dei consumi. Sofferenza di cui cercano di liberarsi spingendo la cultura del consumo verso una deriva pornografica. Perché percepiscono come una potente minaccia la crescente erotizzazione dei linguaggi odierni del consumo e si può pensare che «la produzione di video mostruosi, dalla violenza pornografica, è una risposta oscena all’oscenità percepita dell’estetica del consumo contemporaneo». Quell’estetica sexy che caratterizza oggi la moda, la pubblicità e il branding e che viene pertanto impiegata da Isis contro se stessa.