La locandina dello spettacolo per i cinefili è un approdo immediato. Un riferimento scontato: il giardino sospeso nel tempo e nel bianco nero di L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais. Il nouveau roman sposa la nouvelle vague. Il corto circuito è ammaliante. Su questo fondale, ma in versione technicolor, luci preraffaellite e chiaroscuri da Zurbaran, si mettono in posa Dario Marconcini e Giovanna Daddi per la loro ultima avventura drammatica, I bei giorni di Aranjuez di Peter Handke, che ha debuttato al Francesco di Bartolo. Il teatrino di Buti è la casa di Dario e Giovanna. Sodalizio artistico e affinità domestica.

Il clic dell’obiettivo, come già con Pinter e con Straub, è una cornice fotografica e un fermo immagine cinematografico. Così pretende Handke. Camera fissa. Inquadratura frontale. Blocco delle emozioni, stasi temporale, dinamismo zero. Così è passato sullo schermo (Venezia 2016) filmato da Wim Wenders. Così lo proiettano ora sul palcoscenico di Buti Dario e Giovanna. Siamo nel clima incantato della memoria incompiuta. Un uomo e una donna siedono a un tavolo da giardino, all’aperto, in un bel giorno d’estate. L’atmosfera è distesa. A day in the life dei Beatles è una rarefatta colonna sonora. L’uomo e la donna parlano d’amore. Del tempo che inesorabilmente svanisce. Della vita che inesorabilmente si guasta. Da vecchi amici, complici, amanti, si concedono domande scabrose e declinano sogni proibiti. Ricordi, trasgressioni. Rivelazioni imbarazzanti. L’intesa è sovrana. L’idillio scatena il desiderio. Ma è proprio così?

Poco a poco spunta un’altra «verità»: quella del teatro. Che non è finzione ma incantesimo. Enigma sublime. I due allora stanno giocando? Stanno recitando? La loro è solo confidenza professionale? Sono forse gli ultimi frammenti di un discorso amoroso che Roland Barthes aveva anticipato come eredità culturale e coscienza femminista di un Sessantotto che rimescolava le carte della sessualità e del rapporto uomo donna. Poi la storia incalza. E il tempo si guasta. La vita è sogno, trauma generazionale, illusione. Tuoni, fulmini, sibili di sirene, scoppi, rumori sinistri, pianti di bimbi, rombi d’elicotteri, come un frastuono d’armi, invade lo spazio. I misteri dei giardini di Compton House finiscono in quelli di Blow-up. Anche qui erano impronte fotografiche. Con leggerezza e limpidità Dario e Giovanna si mettono in posa davanti all’obiettivo.