La prova che la liberalizzazione della marijuana è ormai approdata nel mainstream, e che il 2014 vede l’inizio di un trend nazionale che potrebbe avere un percorso non troppo dissimile da quello verificatosi per la legalizzazione dei matrimoni gay?

È online, sulle pagine della National Review, non una pubblicazione della controcultura anni Sessanta, o un sito filo Occupy, ma la rivista che il giornalista e commentatore arciconservatore William Buckley fondò nel 1955 per contrastare le teorie moderate dei repubblicani di Eisenhower. «Un atteggiamento sensato nei confronti dell’erba» è infatti il titolo dell’editoriale con cui la direzione della testata ha accolto la recente messa in commercio della marijuana per uso ricreativo in Colorado, che è diventato così il primo stato «a esercitare la scelta prudente di legalizzare il consumo e la vendita di marijuana, eliminando le restrizioni relative all’uso medico e riconoscendo che, mentre alcuni fumano per alleviare gli effetti della chemioterapia, la maggior parte lo fa per sballare – e questa non è la cosa peggiore del mondo».

«A prescindere che uno accetti o meno che la legalizzazione della marijuana sia un fatto di scelta individuale, a convincerci sono le sue conseguenze», continua il testo. «Questo perché quella del proibizionismo nei confronti della marijuana è una storia di scelte svantaggiose: miliardi spesi per l’enforcement, centinaia di migliaia di arresti ogni anno per cercare di controllare una droga dagli effetti essenzialmente benigni che rimane diffusissima a dispetto di ogni tentativo di eradicarla. In nome della prevenzione di una percentuale bassissima di crimine creiamo moltissimi criminali. Tentando di prevenire un’attività di per sé molto poco dannosa facciamo danni enormi».

Buckley era un intellettuale di tendenze libertarie, il suo era quindi un Dna molto diverso da quello neocon; oggi la legalizzazione della marijuana è ancora osteggiata dall’ortodossia repubblicana a Washington e da parecchi democratici. Ma la presa di posizione della Review è sintomatica di quello che sta succedendo.

E fa sembrare quasi timido l’annuncio, previsto per oggi ma già anticipato dal tam tam mediatico, del governatore di New York Andrew Cuomo, nell’annuale discorso sullo «stato dello stato» . Storicamente avverso alla legalizzazione, Cuomo – che quest’anno corre per la rielezione e che sta valutando una possibile campagna per la Casa bianca, nel 2016 – ha dovuto arrendersi alle crescenti pressioni di chi critica l’aggressività delle leggi locali contro la marijuana (responsabili di circa 450.000 imputazioni per reati minori tra il 2010 e il 2012, in uno studio della la Drug Policy Alliance) e all’evidenza: secondo un sondaggio effettuato il maggio scorso dal Siena College, l’82 per cento degli elettori dello stato approverebbero la messa in vendita di marijuana per uso medico. Il senato di New York ha bocciato quattro volte una proposte di legge che l’avrebbe permessa. L’iniziativa di Cuomo sarà quindi resa possibile grazie all’uso di un ordine esecutivo, con il quale il governatore autorizzerà venti ospedali a prescrivere marijuana a pazienti affetti da malattie molto gravi, come cancro e glaucoma.

Cuomo è un politico freddo e lungimirante – è stato lui, da Albany, a orchestrare le alleanze che hanno reso possibile la legalizzazione dei matrimoni gay a New York, ha firmato leggi molto severe sul controllo delle armi e, almeno per ora, tenuto duro su spinose questioni relative all’ambiente. Ma che questa nuova iniziativa sia timida, lo ha scritto persino il New York Times di ieri. Insieme al Colorado e al Washington State che hanno approvato la messa in commercio della marijuana per uso ricreativo, oggi sono ormai venti gli stati Usa, più il distretto di Columbia (e cioè la capitale, Washington), dove l’uso medico della marijuana è legale. In California lo è addirittura dal 1996, e con una latitudine molto più vasta (fino a coprire mal di schiena, crisi depressive o d’ansia…) di quella che sarà permessa qui a New York. Alcuni politici newyorkesi hanno già promesso che lavoreranno per rendere più permissive le guide linea. Intanto, dal Colorado, dopo le immagini delle file lunghissime per accedere ai centri vendita che hanno aperto il primo giorno dell’anno, arrivano le notizie di scorte che stanno finendo in fretta. Contraddicendo lo spauracchio di una popolazione teen ager che, di fronte alla prospettiva dello spinello legale, avrebbe mollato tutto ciò che stava facendo per sballare non stop, la proprietaria di un centro vendita di Boulder, intervistata su Msnbc, raccontava lunedì sera che la maggioranza dei suoi acquirenti erano tra 40 e i 70 anni.

Annusando un trend a livello nazionale (l’uso ricreativo del cannabis è già legalizzato a livello locale anche in alcune città, come Portland, in Maine, e Lansing, in Michigan, e il Massachusetts spera di seguire l’esempio del Colorado nei prossimi due anni), la Cbs News ha dedicato un servizio alle agenzie pubblicitarie che stanno cominciando a ipotizzare tecniche di marketing della marijuana, sul cui mercato tutto da esplorare starebbero tenendo un occhio anche i grossi fabbricanti di birra, come la Anheuser-Bush. Greg Wagner, un ex pubblicitario attualmente alla Daniels School of Business della Colorado University di Denver, prevede che la pubblicità della cannabis farà il suo ingresso tra gli spot del Superbowl entro un massimo di cinque anni. Gettonatissimo il tweet dei gelatai illuminati del Vermont Ben & Jerry, con l’immagine di un solitario secchiellino di gelato abbandonato su uno scaffale del supermarket….

Sono ancora contrastanti le teorie rispetto all’impatto economico che l’ingresso della marijuana potrebbe avere sul mercato, sia a livello di denaro pubblico (proveniente dalle tasse statali sulla vendita) che privato. Il primo giorno di messa in commercio, in Colorado, 24 venditori avrebbero totalizzato collettivamente circa un milione di dollari. Secondo un rapporto pubblicato sul sito Policymic le vendite annuali di marijuana potrebbero oscillare tra i 10 e i 120 miliardi di dollari. A confronto, il mercato della birra corrisponde a circa 100 miliardi, quelli del mais e del grano rispettivamente 23.3 e 7.5.