Donald Trump sta cambiando volto? Dalla linea isolazionista suggerita dal capofila della Alt-right, Steve Bannon, a quella dettata dal Pentagono, dall’American First ai missili sulla Siria.

Se le ultime mosse del presidente fanno pensare ad un drastico cambio di linea, basta tornare a guardare al fronte interno per rendersi conto di quali siano le conseguenze delle politiche della sua amministrazione.

Ciò che le maggiori associazioni antirazziste degli Stati Uniti descrivono come una pericolosa recrudescanza delle violenze razziali e degli atteggiamenti discriminatori. Oltre ad un rinnovato attivismo dell’estrema destra. Il procedere in parallelo di una politica bellica imperiale e di un’offensiva sociale iperconservatrice è stata del resto una delle caratteristiche delle presidenze repubblicane nell’ultimo mezzo secolo.

Da George W. Bush a Ronald Reagan fino a Richard Nixon che guidò la fase più dura della guerra del Vietnam e gestì la più drastica ristrutturazione in termini razziali e sociali del paese. Il punto è che con Trump non è solo lo spettro della restaurazione dell’ordine, anche razziale, fin qui evocato, ma anche i temi cari al nativismo e al suprematismo bianco.

Con un risultato è sotto gli occhi di tutti. Profanazione di cimiteri ebraici, incendio di moschee, aggressioni ad immigrati ispanici e indiani, scontri armati tra «sovranisti» e forze dell’ordine. Ai quattro angoli del paese i gruppi estremisti danno segno di un pericoloso attivismo che accompagna la radicalizzazione del quadro politico e il tentativo di rimettere in discussione diritti acquisiti che si tratti dei migranti o della comunità lgbtq.

Dopo la mobilitazione dell’ambiente suprematista in favore del tycoon, il razzismo sembra cercare ora una nuova legittimità. Ciò che la rivista The Nation ha sintetizzato spiegando che «l’ascesa di Donald Trump ha coinciso con un vero e proprio boom dei gruppi dell’odio», e che si sta assistendo ora ad una feedback tra «la politica di Pennsylvania Avenue (sede della Casa Bianca, nda) e la violenza di Main Street».

Solo pochi giorni fa un estremista bianco di 28 anni, James Harris Jackson, con un passato nell’esercito, compreso un anno in Afghanistan, ha ucciso un uomo di 66 anni, Timothy Caughman, durante la sua personale «caccia al nero» per le strade di New York. Dalla Casa Bianca non è arrivato neanche un tweet di condanna, mentre Slate ha paragonato la tragedia ai linciaggi di un tempo, «visto il modo in cui ancora oggi si cerca di giustificare la violenza contro i neri».

Secondo il Southern Poverty Law Center, il numero delle formazioni violente della destra radicale è cresciuto per il secondo anno consecutivo, se ne contano oggi circa 917, mentre quello dei gruppi anti-musulmani è addirittura triplicato. Non solo, ben il 37% degli oltre 1.100 casi di intolleranza che si sono registrati nell’ultimo anno, «fa riferimento direttamente al presidente eletto Donald Trump e ai suoi slogan di campagna elettorale».

Allo stesso modo, per il Center for the Study of Hate & Extremism della California esiste una correlazione diretta tra gli interventi di Donald Trump e i picchi di violenza. Dopo che il presidente ha paventato «uno stop all’ingresso dei musulmani negli Usa», spiegano questi analisti, si è scatenata «un’ondata di crimini anti-islamici, con aggressioni fisiche, atti di vandalismo e minacce».

Il sociologo dell’Università dell’Indiana Jeffrey Greunewald, tra i maggiori studiosi del suprematismo bianco, si spinge ancora più in là, paragonando la situazione attuale a quella della metà degli anni Novanta, quando emerse il movimento paramilitare delle Milizie che mise radici tra i «piccoli bianchi» delle comunità agricole in crisi e tra «i colletti blu che perdevano i loro posti come risultato della globalizzazione».

Grazie alla sua campagna centrata sulla retorica complottista, anti-establishment e anti-immigrati, Donald Trump ha ridestato il potenziale pericoloso di questi movimenti, conducendoli «dalla marginalità al cuore stesso del Partito repubblicano». E poi alla Casa Bianca.

Perciò, secondo Greunewald, se la stagione delle Milizie si concluse nel 1995 con la strage di Oklahoma City, ora gli ambienti estremisti evocati da Trump «cercheranno ulteriormente di emergere». Più che un’analisi, una minaccia.