È stata l’ansia culturale non quella economica che ha consegnato la presidenza a Donald Trump. Paura degli immigrati, della perdita di egemonia dei bianchi, il sentirsi uno straniero nel proprio Paese travolto dai bisogni e dai valori delle «minoranze», fino da arrivare a xenofobia e razzismo veri e propri sono state, secondo uno studio realizzato quest’anno dal Public Religion Research Institute insieme alla rivista «Atlantic», le vere cause del disastro elettorale del 2016.

QUANDO si è messo a lavorare su Blackkklansmen, nell’estate del 2017, Spike Lee aveva già intuito questo dato, ed era perfettamente al corrente delle statistiche sull’impennata del numero e delle attività degli hate groups.

Il suo nuovo lavoro è un «period piece», che però unisce con una linea nettissima i Seventies degli afro e della blaxploitation a Charlottesville, i cappucci e le cappe bianche nel griffithiano The Birth of Nation(di cui vediamo degli squarci) e le nuove manifestazioni di suprematisti che – senza cappuccio e senza bruciare le croci – odiano quanto quelli di un tempo e hanno infiltrato pericolosamente il mainstream. Wake Up, svegliatevi,è il grido nemmeno tanto sottinteso del suo film, come urlava il disc jockey alla fine Fai la cosa giusta.

PRODOTTO da Jason Blum e Jordan Peele, e finanziato dalla Universal, BlackKKKlansman è tratto da una storia vera, quella di Ron Stallworth (John David Washington), primo agente afroamericano della polizia di Colorado Springs che esordì «in borghese» infiltrandosi nel Ku Klux Klan. L’immagine d’apertura è un campo lungo visto dall’alto, un campo pieno di cadaveri. Sulle note di Max Steiner, Rossella O’Hara cammina tra i morti contemplando la sconfitta del Grande Sud dopo la caduta di Atlanta. La bandiera confederata sventola a brandelli in alto a sinistra del fotogramma. Il tono di Lee è meno solenne che ironico – quella cultura non è mai morta.

BlacKKKlansman attacca come una commedia – c’è dell’assurdo anche solo nell’idea di un poliziotto afroamericano che deve usare come controfigura un collega bianco (ma è ebreo, Adam Driver – il KKK ne ha anche per lui); che viene mandato a spiare la ex – Black Panther Stokely Carmichael e a fare da guardia del corpo al Grand Wizard del KKK / futuro candidato alle primarie presidenziali, David Duke (Tropher Grace). Le ultime immagini sono direttamente dalle news, ed è scomparsa qualsiasi voglia di ridere – la macchina che travolge la folla di Charlottesville, Trump che dice «non erano tutti razzisti. C’era un scacco di gente per bene». David Duke (ma è lui, non più un attore) che si complimenta con le parole del presidente.

ANCHE se non ha mai amato la blaxploitation – che considera un degrado della sua cultura – adattando (dal libro di Stallworth) una vicenda poliziesca il regista newyorkese gioca con le citazioni del genere e i suoi eroi – Shaft, Superfly, la Coffy di Pam Grier. Ma, rispetto ai suoi ultimi film (per esempio Chi-Raq), questo è il meno «meta», il meno internamente tumultuoso e graffiante. Ed è ’ quello più esplicitamente rivolto al mainstream, oltre che in un certo senso «ai bianchi».

Tra battute sul razzismo «in amitié» che si vive nel dipartimento di Colorado Springs, una trama romantica con una leader studentesca che ricorda Angela Davis e i ferocemente odiosi incontri del Klan, l’andamento narrativo è più lineare, disteso – il ritorno (dopo una serie di budget piccolissimi e persino un’avventura horror made in Kickstarter – Da Sweet Blood of Jesus, remake del cult di Bill Gunn Ganja and Hees,) alle produzioni da studio e alla voglia di raggiungere un pubblico più vasto. Tra i detour extranarrativi che Lee si concede, nella direzione più combattiva dello Spike di sempre, è fortissima l’apparizione di Harry Belafonte che racconta per filo e per segno un linciaggio.

IL DODICI agosto scorso, Charlottesville e la morte di Heather Hayers sono stati commemorati in parecchie città americane da un’ondata di manifestazioni antirazziste che hanno facilmente affogato i rally di Unite the Right, il gruppo di suprematisti bianchi all’origine degli scontri dell’estate 2017 in Virginia.

Ma, a poco più di un mese dalle elezioni di midterm, il candidato repubblicano al senato da quello stato, Corey Stewart, un beniamino di Donald Trump, ha costruito la sua campagna elettorale intorno messaggio «riappropriamoci della nostra eredità» , e alla lotta contro l’immigrazione, difeso il Sud confederato e negato che lo schiavismo sia stato la causa della Guerra civile. Alcuni esponenti del suo team elettorale hanno legami con gruppi neonazisti e rilasciato dichiarazioni anti musulmane. Anche Ron De Santis, il candidato repubblicano a governatore della Florida, ha condotto una campagna sul filo del rasoio, contro il democratico afroamericano Andrew Gillum. Slogan della supremazia bianca e neonazisti vanno ancora più forte nelle campagne per i parlamenti locali. Vincitore del Gran Premio della giuria a Cannes e uno dei titoli di cui si parla per la campagna agli Oscar, BlacKKKlansman è un efficace campanello d’allarme.