La città è quello spazio sociale e politico senza il quale è impensabile immaginare una analisi critica del capitalismo. E proprio per questo ogni riflessione sulla città non può che assumere una postura altrettanto critica. Questo linkage tra città e accumulazione capitalistica continua a manifestarsi come un laboratorio teorico e politico di tutto rispetto all’interno della crisi del neoliberismo e dei mutamenti delle forme di «governo della vita». Significativa di questo rinnovato interesse per la metropoli è la ristampa da parte della casa editrice Pigreco del saggio del filosofo francese Henri Lefebvre sulla Produzione dello spazio. Significative sono anche le decine di testi e rapporti sulle smart city, nuova frontiera delle politiche neoliberali di riforma del welfare state e di una produzione politica dello spazio urbano.

ALLE SMART CITY è dedicato il fertile saggio firmato da Evgenij Morozov e Francesca Bria e pubblicato da Codice edizione (Ripensare la smart city, pp. 183, euro 16) finalizzato a smontare l’idea neoliberista di una radicale consegna nelle mani del mercato del governo della metropoli.
Il bielorusso Morozov è uno dei più noti esponenti della network culture critica verso l’ideologia intenettiana che da Silicon Valley si è irradiata come un virus in tutto il pianeta. L’italiana Francesca Bria è un cervello in circolazione, da quando è approdata a Londra diventando una delle esponenti più in vista dell’organismo inglese dedicato all’innovazione tecnologica e alla Rete. È stata anche chiamata dalla sindaca di Barcellona Ada Colau a presiedere il gruppo di lavoro sulle politiche dell’innovazione tecnologiche e sui data common nella metropoli catalana.

I DUE AUTORI sono consapevoli che lo storytelling delle «città intelligenti» si nutre delle politiche neoliberiste che demoliscono il welfare state e della valorizzazione capitalistica di spazii urbani attraverso una aggressiva finanza di rapina, una diffusa precarietà lavorativa e un innalzamento delle diseguaglianze sociali.
Morozov è convinto inoltre che il neoliberismo, per quanto in crisi, abbia comunque bisogno di nodi efficienti – le smart city, appunto – e di un contesto urbano armonico che segua le logiche della produzione di merci. Le città intelligenti sono, dunque, da considerare una variante dell’ideologia californiana che assegna alla tecnologia e alla rete il ruolo salvifico del capitalismo. Centrali sono, infatti, le macchine, gli algoritmi, non le relazioni sociali che sono alla loro base. Entrambi gli autori concordano sul fatto che le smart city alimentano automatismi nella governance della metropoli che favoriscono i grandi monopoli della Rete.

PER QUESTO MOROZOV guarda con partecipato interesse a quelle esperienze di «città ribelli» che cercano di contrastare la declinazione neoliberista dell’economia della condivisione: declinazione che ha come simboli alcune piattaforme digitali – Airbnb, Uber, Google, Facebook e molte altre imprese della Rete. È però scettico sulla possibilità e capacità politica delle sole «città ribelli» nel contrastare i processi globali ormai innescatisi. Obiezioni consegnate alla discussione pubblica senza nessun intento demolitorio verso le esperienze delle «città ribelli».
Colpiscono infine le tante schede disseminate nel libro su esperienze di riappropriazione dal basso dello spazio urbano attraverso lo sviluppo di piattaforme digitali «alternative». Da Barcellona a Napoli, da Berlino ad Amsterdam, da Chicago a New York, da San Paulo a Caracas già fino nel ventre della bestia (la California) sono fiorite iniziative civiche, politiche portate avanti da movimenti sociali per contrastare la gestione neoliberista dello spazio urbano.

LA PARTE DEL VOLUME curato da Francesca Bria è un accorto esercizio di autocoscienza attorno a una esperienza di studiosa militante e di amministratrice dove nulla viene lasciato al caso. Bria ritiene che la riappropriazione dei nessi amministrativi sia propedeutica allo sviluppo di politiche adeguate alla Rete. I dati, le tecnologie digitali sono strumenti, ma anche un macchinario finalizzato a estorcere la ricchezza prodotta socialmente. Importante è il nesso messo in evidenza tra piattaforme digitali come Airbnb e Uber e la gentrification, cioè la cacciata degli abitanti da alcuni quartieri per consegnarli alla finanza, alla speculazione immobiliare, alla musealizzazione capitalistica del tessuto urbano. Dunque, bisogna riappropriarsi sia di quegli strumenti che di quelle macchine. È la parte del saggio che non nasconde l’intenzionalità politica di essere certo pragmatici nel fare, ma radicali nei contenuti e negli obiettivi.
Non è dato sapere se la città ribelle di Barcellona riuscirà nelle sue politiche di data commons (la riappropriazione collettiva di ciò che le imprese hanno espropriato), ma è una esperienza senza la quale difficilmente si sarebbe potuto parlare di «città ribelli» nella vecchia Europa. E che senza la quale difficilmente la retorica delle città intelligente poteva essere demistificata.