Il dibattito in corso a Montecitorio sulla riforma della legge sui parchi italiani (394/91) sta spaccando gli ambientalisti e le categorie che a vario titolo si occupano di natura aree protette. Per il presidente della Commissione ambiente alla Camera, Ermete Realacci, è una legge che “guarda al futuro”. Per Legambiente è criticabile ma con alcuni elementi positivi. Per il Wwf, invece, è una sciagura. Ne parliamo con la presidente Donatella Bianchi.

Il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti dice che i parchi non possono più essere visti solo come luoghi della conservazione ma devono mettersi in gioco nella sfida dello sviluppo sostenibile. Quali giochi vi preoccupano?

I dati del 2014 dicono che ogni anno 102 milioni di turisti scelgono i nostri parchi, parliamo di un fatturato di 12 miliardi di euro e oggi i numeri sono più consistenti. Quando Galletti parla di sviluppo a cosa si riferisce? Lo sviluppo c’è già ma non per questo abbiamo svenduto i parchi o abbiamo smesso di conservarli.

L’accusa più ricorrente degli ambientalisti riguarda la nomina di direttori e presidenti dei parchi che verrà decisa a livello locale. Secondo voi questi poteri sarebbero inaffidabili o più permeabili alle pressioni di alcune lobby?

Il controllore e il controllato non possono essere la stessa persona, stiamo parlando di parchi nazionali e quindi è lo Stato che deve esercitare la funzione di controllo. Pensiamo a cosa sarebbe Pompei se fosse amministrata dall’ente locale, non potrebbe mai accadere! Il nodo è la governance locale non qualificata e senza competenze ambientali: il ministro della Cultura Franceschini per rilanciare i musei ha scelto personalità di spicco non manager di nomina politica. La governance è decisiva perché se è all’altezza può garantire la corretta applicazione delle norme. Questa riforma privilegia la resa economica dei parchi e il loro sfruttamento.

Il Wwf sostiene che i parchi potrebbero diventare terreno di conquista per i partiti o i potentati locali. Addirittura?

Ma certo, è già successo. Pensiamo al parco dell’arcipelago della Maddalena dilaniato da un consiglio direttivo inconcludente e ancora allo scandalo dell’acquisto dell’isola di Budelli. Oppure al parco del Delta del Po, una situazione che grida vendetta: in quel luogo straordinario per l’ecosistema il parco nazionale non è mai stato istituito semplicemente perché le due regioni non si sono mai messe d’accordo (Veneto ed Emilia Romagna, ndr). Possiamo anche solo riuscire ad immaginare la Camargue divisa in due?

Legambiente è critica però sostiene che in questa riforma ci sono molti elementi di positività. Per voi c’è qualcosa che funziona o sarebbe meglio lasciare la legge così com’è?

Da quando mi sono insediata alla presidenza del Wwf mi sono occupata della legge 394 e mi sono sempre chiesta come mai le associazioni ambientaliste non riuscivano a sedersi attorno a un tavolo per fare fronte comune. In seguito abbiamo fatto un grande lavoro, eppure al Senato questa legge è passata senza che avessero recepito nemmeno un’osservazione. Alla Camera, è vero, qualche modifica è stata fatta ma non basta, a questo punto non possiamo accettare le briciole considerata qual è la posta in gioco. Questa legge ce la dovremo tenere per i prossimi 25 anni.

Durante la discussione sarà possibile correggere il tiro?

Direi di sì. Ma dovrebbero portare in aula emendamenti decisivi che riscrivano il tema della governance. L’ambientalismo non è il mondo del “no”, semplicemente non siamo stati ascoltati.