Go back. Fa un gesto distensivo il contestato ambasciatore americano John Phillips. Martedì scorso era incappato in una clamorosa papera transatlantica, degna degli anni della Guerra Fredda, dichiarando in un convegno che se al referendum costituzionale vincesse il No «sarebbe un passo indietro per gli investimenti stranieri in Italia». Ieri il diplomatico è corso ai ripari: due tra i più autorevoli rappresentanti del Comitato del No, l’avvocato Besostri e il professore Pace, si sono visti recapitare l’invito per un incontro nella mattinata di venerdì 23 settembre nella bella Villa Taverna, sede dell’ambasciata statunitense a Roma. «At a coffee to exchange views on the Italian constitutional reform», per un caffè per scambiare le opinioni sulle riforme costituzionali italiane. Répondez s’il vous plait. E la cortese risposta naturalmente è stata un sì. In sostanza l’ambasciatore ha capito di aver fatto una gaffe. E ha cercato rimedio.

L’endorsement del diplomatico di origini italiane e da sempre tifoso del governo Renzi aveva fatto esplodere il caso in Italia. Le opposizioni di destra e sinistra – con toni differenti, a onor di cronaca – avevano lamentato «l’indebita ingerenza», portando il caso persino nelle aule parlamentari. Proteste vibrate dai comitati del No. E la gazzarra scatenata, con tanto di rissa mediatica fra opposte accuse di imperialismo e «antiamerikanismo», aveva finito con il mettere in imbarazzo – e forse danneggiare – proprio il beneficiario dell’endorsement Renzi. Tanto che da Palazzo Chigi era stato fatto filtrare il disagio per la situazione incresciosa creata dall’eccesso di entusiamo dell’ambasciatore. Non il primo, per la verità. Nel marzo scorso in un’intervista al Corriere della sera lo stesso Phillips aveva annunciato che l’Italia avrebbe potuto fornire 5mila uomini in un intervento in Libia, un’eventualità all’epoca molto al di là da venire. In quel caso Renzi dovette smentire esplicitamente («Non è un videogioco»).

Stavolta è stato il presidente della Repubblica Mattarella a incaricarsi di chiudere la questione, dalla Bulgaria, dov’era in visita, misurando le parole in risposta ai cronisti al seguito: il mondo è «interconnesso», ha detto, e l’Italia «è un paese importante, seguito con attenzione anche all’estero» ma «la sovranità è demandata agli elettori».

Non è escluso il suggerimento di una riparazione sia venuto anche da Oltreoceano. Ma soprattutto a consigliarlo sarà stata la crescente probabilità che a vincere sia il No, come avvertivano nuovi sondaggi usciti ieri. Phillips comunque non ha perso la sua verve: ieri all’inaugurazione della sede romana di uno studio legale americano ha scherzato con gli ospiti invitandoli «a non interferire con la sovranità degli Usa». Ma la correzione di rotta era già partita con la richiesta di confrontarsi con le ragioni contrarie al Sì dalle vive parole dell’avvocato Felice Besostri, coordinatore dei ricorsi anti-Italicum, e del professore Alessandro Pace, presidente del Comitato del No.

Intanto la data del voto però non si sa. Arriverà, ma con calma. Ieri a UnoMattina (Rai1) il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato non ancora il fatidico giorno del voto ma la data in cui si deciderà: sarà il 26 settembre, «così come previsto dalla legge», ha spiegato. E se è vero che la legge glielo consente, il fatto è che il presidente sta cercando di tirare più a lungo possibile la scelta per allontanare il più “consentito” il giorno voto. Per ottenere il risultato, rischia perfino l’effetto boomerang: la sua tattica dilatoria è ormai diventata un cult della satira di Maurizio Crozza. Mercoledì sera i comitati per il no avevano firmato un appello comune al governo chiedendogli di abbandonare il «deprecabile atteggiamento proprietario sulla data». In risposta arriva un passo di Renzi, ma piccolo piccolo.

La data verrà dunque decisa durante il consiglio dei ministri del 26 settembre. Questo significa che la scelta ormai cadrà fra il 27 novembre e il 4 dicembre, e cioè fra i 50 e i 70 giorni da quel momento. Più a dicembre che a novembre, probabilmente: se Renzi volesse convocare le urne per fine novembre potrebbe anticipare il consiglio e porre fine allo stillicidio imbarazzante per lui e indisponente per i cittadini