Il buco nero che è la prigione egiziana di Tora ingurgita vite: pochi giorni fa si è presa quella del giovane regista Shady Habash, morto in cella dopo due anni dietro le sbarre senza l’ombra di un processo. Ancora in detenzione cautelare, la stessa misura preventiva che costringe nello stesso carcere Patrick Zaki, lo studente dell’Università di Bologna accusato dal regime di sovversione.

Martedì, dopo sette rinvii, la tanto attesa udienza nell’ufficio della Procura della Suprema sicurezza di Stato sul rinnovo o l’interruzione della custodia cautelare si è tenuta senza Patrick e senza i suoi avvocati. A darne notizia è stata la sua legale, Hoda Nasrallah: «Oggi c’è stato un rinnovo», ha detto. Ovvero Patrick resta in carcere. Ieri all’Ansa Nasrallah ha detto di non sapere ancora la durata del rinnovo, «al 90% saranno altri 15 giorni di carcere». L’annuncio è previsto per sabato.

Nel caso del giovane studente egiziano, la violazione del diritto alla difesa è oggi giustificato dall’autorità giudiziaria con l’emergenza Covid-19. Solo una delle misure prese, tra cui spicca il divieto delle visite familiari, quando nessuna protezione è garantita nelle carceri, affollatissime, sporche, con poca aria e luce naturale.

«Questa sessione non ha permesso a Patrick di esercitare il suo diritto di comunicare con il procuratore o il suo diritto di difesa legale – scrive la campagna “Patrick Zaki Libero” su Facebook – Tutto ciò che questa sessione ha fornito è stata una semplice dimostrazione di forma giuridica senza che fosse prevista alcuna tutela dei diritti legali dei detenuti».

Di Patrick si è parlato ieri all’audizione di Amnesty International in videoconferenza alla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni (insediatasi lo scorso dicembre): «Temiamo che la pandemia diventi una scusa per proseguire questa detenzione ad libitum», ha detto la responsabile Azioni istituzionali di Amnesty, Giulia Groppi, ricordando l’abuso della pratica di rinnovi senza fine della custodia cautelare tipica del regime egiziano, 15 giorni in 15 giorni senza che si arrivi di fronte a un giudice.

Tra coloro che stanno seguendo da vicino il procedimento nei confronti di Zaki c’è l’ambasciatore italiano al Cairo, Giampaolo Cantini, la cui presenza nel paese nordafricano è oggetto della critica della famiglia Regeni e delle associazioni e i movimenti che da oltre quattro anni chiedono verità per il giovane ricercatore.

È a Cantini che, in un’intervista al manifesto, si appella Erasmo Palazzotto, deputato di Leu e presidente della Commissione d’inchiesta: «Credo che l’ambasciatore italiano al Cairo debba far presente al governo egiziano che la posizione dell’Italia è quella di un’immediata scarcerazione (di Patrick Zaki) e debba chiedere anche di poterlo visitare in carcere per potersi assicurare delle sue condizioni di salute».

La detenzione di Patrick Zaki è stata uno dei temi che la Commissione ha affrontato nell’audizione di Amnesty.

Patrick Zaki, com’è emerso anche oggi, è una delle tante vittime della repressione del governo egiziano. Una vittima che collega ancora una volta il nostro paese all’Egitto e che ci carica di un’ulteriore responsabilità, quella di difendere gli interessi di uno studente egiziano di un’università italiana e di chiederne la liberazione. Soprattutto in un momento delicato e difficile come questo, in fase di pandemia da Covid, in considerazione del fatto che è un soggetto asmatico e che nelle carceri egiziane muoiono tantissime persone ogni anno per carenza di condizioni igienico-sanitarie e assistenza. Proprio in funzione del contenimento dell’epidemia, il governo egiziano non permette le visite in carcere: la sua famiglia e i suoi avvocati non hanno notizie di Patrick da oltre un mese.

In merito alla situazione dei diritti umani in Egitto, cosa si sente di dire rispetto al normale prosieguo delle relazioni tra Roma e Il Cairo?

Quello che ci ha fornito Amnesty è un quadro drammatico della condizione dei diritti umani in Egitto con un’azione repressiva costante da parte del governo egiziano verso tutte le opposizioni e con un comportamento ossessivo nei confronti di tutte le organizzazioni, le ong, gli attivisti, i singoli che possono avere relazioni con l’estero. Da questo punto di vista è stato sottolineato come serva valutare l’opportunità di condizionare il proseguimento delle relazioni diplomatiche, economiche e politiche con un paese che ha questo livello di repressione e violazione dei diritti umani.

La Commissione parlamentare sull’omicidio di Giulio Regeni sta procedendo con i lavori, dopo aver sentito nei mesi scorsi la Procura di Roma, l’ambasciatore Cantini e il suo predecessore Massari. A che punto è l’attività?

La Commissione ha interrotto i lavori poco dopo averli cominciati. Oggi dopo due mesi abbiamo ripreso con le audizioni, cominciando da Amnesty international. Abbiamo la difficoltà di dover lavorare da remoto e quindi un po’ a rilento, ma stiamo cercando di non perdere ulteriore tempo. È chiaro che il lavoro risentirà sia di questa pausa che di questa difficoltà. Contiamo di riprendere con una grande accelerazione per arrivare prima possibile alla ricostruzione della verità.