In Amazzonia si assiste ad una accelerazione di tutti i processi, con gravi ricadute in termini socio-ambientali. I cambiamenti nell’uso dei suoli che in questi anni sono avvenuti nella regione amazzonica stanno producendo gravi squilibri. I dati a disposizione mostrano le dinamiche in atto nelle diverse aree della regione.

UNO STUDIO PRESENTATO il 30 settembre scorso, risultato del lavoro di tecnici e specialisti dei nove paesi sudamericani in cui ricade l’Amazzonia, mette in evidenza le trasformazioni avvenute dal 1985 al 2020. L’iniziativa denominata MapBiomas ha permesso di stabilire, attraverso l’esame delle mappe annuali della copertura e uso dei suoli, che in 36 anni la regione amazzonica ha perso 74,6 milioni di ettari della sua copertura vegetale naturale, un’area equivalente a due volte e mezzo il territorio dell’Italia. Nello stesso periodo di tem- po l’estrazione mineraria è cresciuta del 656%, le infrastrutture urbane del 130%, le attività agricole e l’allevamento del 151%. Se nel 1985 solo il 6% dell’Amazzonia risultava antropizzata, nel 2020 la percentuale si è quasi triplicata, raggiungendo il 15%.

IL FENOMENO HA dimensioni diverse da un paese all’altro: l’1% nel Suriname e nella Guiana, mentre nell’Amazzonia brasiliana si arriva al 19%. Il Brasile, nel cui territorio ricade il 60% della foresta amazzonica, ha subito gli sconvolgimenti maggiori e rappresenta l’anello debole dell’ecosistema. I ricercatori parlano di «trasformazioni profonde e rapide che possono portare a un punto di rottura per i servizi ecosistemici di tutta la regione».

UN ALTRO STUDIO, PUBBLICATO nel luglio di quest’anno sulla rivista scientifica Nature, dimostra che l’Amazzonia sta producendo più anidride carbonica di quanto riesca ad assorbirne, invertendo la dinamica del bioma. L’imputato è sempre il bacino amazzonico del Brasile che nel periodo che va dal 2010 al 2019 avrebbe emesso 16,6 miliardi di tonnellate di CO2 e ne avrebbe assorbite 13,9.

NEI QUATTRO SITI ANALIZZATI nell’Amazzonia brasiliana è emerso che la quantità di gas serra liberata è superiore del 20% rispetto a quella assorbita. Secondo Jean-Pierre Wigneron dell’Istituto nazionale di ricerca agronomica francese i dati dimostrano che «negli anni presi in esame l’Amazzonia è diventata un emettitore netto di gas serra e non più la principale area di assorbimento del pianeta».

I VASTI INCENDI DI QUESTI ULTIMI anni hanno giocato un ruolo determinante nell’au- mentare il rilascio di CO2 nell’atmosfera. Luciana Gatti, ricercatrice dell’Istituto di ricerca spaziale del Brasile (Inpe) e che ha collaborato allo studio, afferma: «Nelle aree in cui si verificano gli incendi le emis- sioni di CO2 sono tre volte maggiori di quanto le piante riescano ad assorbirne. Questo fenomeno si manifesta con mag- giore intensità nella regione sud-orienta- le. L’inversione nella dinamica accelera le mutazioni climatiche, intensifica i periodi di siccità, causa gravi impatti sulla biodi- versità del bioma, con profondi squilibri socio-ambientali».

I DATI FORNITI DALL’INPI CI DICONO che la deforestazione in Brasile nel 2020 ha interessato una superficie pari a 11.088 kmq, con una crescita del 9,5% rispetto all’anno precedente. Gli specialisti in desmatamento cercano di comprendere le fasi e le tecniche utilizzate dai responsabili della distruzione della foresta. Il ricercatore Juan Doblas ha seguito per anni quello che avviene nello stato di Rondonia, uno dei più colpiti insieme al Mato Grosso.

L’ABBATTIMENTO DELLA vegetazione è operato da medi e grandi proprietari terrieri su aree protette, spesso acquisite median- te la falsificazione di titoli di proprietà (grilagem), da destinare all’allevamento di bovini. Ma negli ultimi anni, secondo Doblas, a causa della flessibilizzazione della legislazione fondiaria e del nuovo codice forestale introdotto nel 2012, si è affermato il «desmatamento speculativo», una forma industriale di deforestazione. L’intervento avviene su aree molto vaste e non definite per quanto riguarda i titoli di proprietà (un terzo dell’Amazzonia brasiliana si trova in questa condizione). Si radono al suolo migliaia di alberi con incursioni che vedono l’utilizzo di mezzi meccanici e centinaia di persone. L’obiettivo è quello di ricavare aree nella speranza di valorizzarle sul mercato della terra con titoli di proprietà falsi. Ma è il fuoco l’elemento privilegiato per liberarsi degli alberi ed attuare una espansione predatoria.

LA FORESTA TROPICALE QUANDO è intatta non prende fuoco. Bisogna creare le condizioni favorevoli, tagliando la vegetazione minore che una volta secca diventa infiammabile, coinvolgendo i grandi alberi. Ma sempre più spesso si fa uso di quello che viene chiamato «agente arancio», un defogliante proibito in Europa e largamente impiegato dall’esercito statunitense nel Vietnam, per favorire la propagazione del fuoco. I ricercatori studiano le conseguenze che la perdita di copertura forestale può produrre. Nel dibattito scientifico spesso si affaccia l’interrogativo su quale può essere il «punto di non ritorno» per l’Amazzonia. Molti studiosi ritengono che una perdita del 25% del manto forestale, rispetto alla situazione che si registrava all’inizio degli anni ’70, possa produrre fenomeni incontrollabili su vasta scala.

IN BRASILE I TENTATIVI di ambientalisti e ricercatori per costruire e proporre strategie di conservazione si scontrano con le po- litiche del governo Bolsonaro che incentivano a deforestare e vendere terre pubbliche. Il PL 490/2007 si propone di favorire le attività economiche nei territori amazzonici e di modificare le regole per la demarcazione delle terre indigene. Il PL 2633/2020, noto come «progetto grilagem», mira a legalizzare questa pratica. Tra le iniziative del governo risulta particolarmente grave lo smantellamento dei due principali organi di controllo ambientale: l’istituto Chico Mendes di conservazione e biodiversità e l’Istituto brasiliano dell’ambiente e delle risorse naturali (Ibama). Tutti i responsabili delle unità di controllo dell’Istituto Chico Mendes sono stati esautorati e al loro posto sono stati nominati dei militari. Le competenze dell’Ibama sono state trasferite a un nuovo organismo (Consiglio nazionale dell’Amazzonia legale) composto esclusivamente da militari e presieduto dal vicepresidente generale Mourao.

IN TUTTO QUESTO SI INSERISCE la battaglia che stanno conducendo le comunità indigene contro il marco temporal, una tesi giuridica che si propone di limitare la demarcazione dei territori indigeni. Il Supremo tribunale federale, che sta esaminando la delicata questione, è sottoposto alle forti pressioni del governo e dei settori dell’agrobusines e appare incapace di prendere una decisione, alimentando la condizione di precarietà delle popolazioni la cui sopravvivenza è legata a quella dell’Amazzonia.