A Londra, fino al 31 maggio, Harrods ha occupato 40 delle sue 52 vetrine su strada con degli abiti di Prada. Fanno parte di una collezione speciale in vendita solo in questo grande magazzino ed è la strizzatina d’occhio commerciale all’evento più controcorrente che la moda può registrare in questi mesi. Al quarto piano di Harrods, infatti, in 160 metri quadrati si apre Pradasphere, una retrospettiva degli ultimi 25 anni del marchio italiano, o meglio gli anni in cui il marchio di valigeria e borse di lusso si è trasformato nel marchio trainante delle tendenze mondiali della moda grazie al metodo di lavoro ambivalente e dodecafonico, sempre in bilico tra intellettualità e ironia, sentimento e razionalità, impegno politico e leggerezza di Miuccia Prada.

L’esposizione, curata da Michael Rock, mostra gli abiti per affinità di ispirazione e non cronologicamente, i progetti che per Prada hanno realizzato gli architetti Rem Koolhaas e Herzog&DeMeuron, i film girati da Roman Polanski, Wes Anderson, Ridley Scott, le mostre e i progetti di arte della Fondazione Prada (compresa la sede progettata da Koolhaas a Milano), la vela di Luna Rossa.

Quindi, ripercorre in tridimensione quello che lo stesso Rock aveva raccontato per immagini in Prada: Creativity, Modernity, Innovation, il libro del 2009 in cui si è ben manifestato come Prada non sia solo un brand di moda ma un modo di pensare, di vivere, di guardare al mondo, di immaginarlo nel suo complesso sviluppo dell’immediato futuro. Pradasphere è, insomma, tutto quello che forma l’universo Prada e che contribuisce a fare di Miuccia Prada l’unica creatrice di moda che si mette in discussione a ogni collezione, cambiando sia l’espressione che la percezione estetica dei suoi abiti, riuscendo però a mantenere riconoscibile la sua visione, tanto da influenzare i suoi colleghi di ogni cultura e latitudine.

Ma a dispetto del successo di critica e di pubblico dei suoi vestiti (3,3 miliardi di euro il fatturato nel 2013), la visione di Prada non è consueta nella moda dei nostri giorni. Anzi. La sua è una visione che gli stessi addetti ai lavori accusano di intellettualismo e di concettualismo e quindi, spiegato con l’impoverito linguaggio dei nostri anni, incomprensibile ed elitario. Ma è da accettare, perché altrimenti significherebbe sentirsi esclusi dall’unica espressione di moda che influenza le infinite culture in cui si diversifica la moda. Quello che molti non capiscono è che questo terribile e affascinante potere deriva proprio dal fatto che la moda di Prada si interroga sul continuo mescolarsi di etica e di estetica che sfocia in un abito, e di questo Miuccia Prada viene ritenuta colpevole, quasi fosse una colpa essere stilisti di moda e, contemporaneamente, produttori di cultura.

Una colpa che fonde due pregiudizi: una sulla moda e uno sul mestiere di designer di moda, in quanto si pretende che gli abiti siano il prodotto di una sottocultura tenuta in vita da operatori egocentrici e fru fru, secondo la parola che l’enciclopedia Treccani attribuisce al fruscio delle vesti.

Miuccia Prada ha rotto questo meccanismo dall’interno, ne ha svelato gli ingranaggi arrugginiti e ne ha costruiti altri più simili al suo modo di pensare e di essere che non deve richiedere la legittimazione della propria cultura alla cultura ufficiale. Questo modo di pensare alla moda, quindi, è estraneo alla moda stessa così come oggi i più la intendono, ma non è inedito. Miuccia Prada, in realtà, recupera un procedimento che Yves Saint Laurent ha usato a partire dal 1958, utilizzando le categorie proustiane per condizionare tutta la moda della seconda metà del Novecento.

Prada vi ha aggiunto la capacità di mixare, sovrapporre, contaminare. Cioè, di viaggiare tra ossessioni, manie, gusti, culture e sentimenti per produrre il nuovo. Per capire quanto il percorso di moda di Miuccia Prada sia l’unico capace di far nascere l’ancora indecisa moda del XXI secolo basta fare una visita al vicino Victoria and Albert Museum, dove è in corso la mostra The Glamour of Italian Fashion 1945-2014. La diversità del linguaggio, tra chi racconta il mondo di oggi e chi celebra nostalgicamente il passato, ha l’evidenza di un fulmine.

 

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