Ken Jacobs, classe 1933 è un pioniere e un maestro del cinema d’avanguardia statunitense, appassionato di found footage, autore di pietre miliari del metacinema sperimentale come Tom, Tom, the Piper’s son (1969) o il monumentale Star Spangled to Death (1956-60/2003-04), docente e sperimentatore instancabile che negli ultimi anni si è confrontato pure con il 3D. La pagina che il sito della Film-makers’ Coop gli dedica riporta una sua citazione che si può tradurre così: «Eisenstein disse che il potere del cinema sta tra un’inquadratura e l’altra. Peter Kubelka tra i fotogrammi. Io voglio arrivare tra gli occhi, gettare un ponte tra le due metà separate del cervello. C’è tutta una gamma di visioni possibili in quello spazio». E lo spazio, in particolare lo spazio urbano, e il modo in cui viene costruito dalla visionarietà cinematografica, pittorica o architettonica sono tra le questioni centrali di The Sky Socialist, film che quest’anno è tornato a vivere in una forma nuova grazie a un intervento di digitalizzazione dell’originale in 8mm curato dalla figlia Nisi Jacobs. Girato in 8 mm tra il 1964 e il 1966 poi gonfiato in 16mm, riveduto nel 1986 e ancora nel 2019, The Sky Socialist esiste in varie versioni ma l’ultima, presentata al recente Filmmaker Festival di Milano, si presenta come un dittico: The Sky Socialist e The Sky Socialist 2. Environs and Out-takes, un omaggio doppio al ponte di Brooklyn, al suo architetto John A. Roebing, che il regista soprannomina «socialista del cielo», e a quella Ferry Street in Lower Manhattan dove Jacob visse i primi tempi con la compagna Florence. Adam Sitney definì The Sky Socialist il film «più esplicitamente simbolico e mitopoietico» di Jacobs, in cui l’opera architettonica, così come il film, si innalzano verso il cielo per invocare il divino in un mondo senza dio. Se dio esistesse, ipotizza il film, Anna Frank sarebbe viva e vivrebbe una storia d’amore con lo scrittore simbolista Isadore Lhevinne. I due personaggi, interpretati dalla compagna di Jacobs Florence Karpf e da Dave Leveson, sono sul tetto di un palazzo dove l’attore e filmmaker Bob Cowan incarna una sorta di memento mori soprannominato Touch of Evil (una delle tante citazioni cinematografiche disseminate nel film) che cerca inutilmente di dissuadere Lhevinne dall’innamorarsi. L’amore redime la storia dai suoi orrori ma la capacità di pensare al di là della banalità del romance commerciale redime il cinema. Il pretesto narrativo permette a Jacobs di filmare gli amici e soprattutto la città, elemento che in The Sky socialist 2 si accentua focalizzando lo sguardo sullo skyline, e sul ponte di Brooklyn come apertura verso un futuro che avanza seminando cumuli di macerie, immondizia e oblio. Le immagini si fanno allora strumento per suscitare memoria, per lasciare che nelle cataste di pietre e legname riecheggino associazioni con altre forme di distruzione, soprattutto la guerra allora recente e la Shoah. Con stile brillante e poetico, Jacobs risponde alle nostre domande parlando al «noi» per sottolineare il ruolo fondamentale della moglie e complice Florence.

Può ricostruire le circostanze in cui girò The Sky Socialist e il suo processo di lavorazione fino a questa recente digitalizzazione?

Decidemmo di girare questo film in Kodachrome 8mm, un gran bel formato benché pensato più che altro per l’uso domestico, non solo perché era poco costoso ma anche per prendere le distanze da un cinema underground newyorkese che a inizi ’60 stava diventando una moda, con cui molta gente cercava solo di farsi notare. Io volevo continuare a creare ma non cercavo una ribalta in quella scena. Una volta girato il film si pose il problema di montarlo e proiettarlo. Bisognava gonfiarlo in 16mm, cosa che abbiamo provato a fare grazie a un finanziamento ma il tecnico che se ne stava occupando ci disse che i soldi erano finiti prima di aver concluso il lavoro. Passò molto tempo prima che prendessimo atto della realtà e decidessimo di ripiegare sul digitale. La pellicola è formidabile ma siamo contenti di aver rinunciato. Anche il digitale è formidabile! E ci ha permesso un risultato più intimamente fedele al materiale originale in 8mm.

Anna Frank è una figura topica di vittima della Shoah, mentre Isador Lhevinne è un personaggio molto meno noto. Come mai sono associati nel film?

Florence era esattamente ciò che gli sterminatori nazisti ricercavano e dunque per il film si fa carico del nome emblematico di Anna Frank. Io, invece, mi identifico con il semisconosciuto Isador Lhevinne e sarei molto contento se il film aiutasse a far rinascere un interesse nei suoi confronti. Anni addietro andavo nelle librerie a cercare le sue opere e un vecchio libraio che se lo ricordava mi disse: prima di tutto era eccezionalmente brutto. Un giorno, mentre nel negozio c’erano alcuni clienti stranieri, lui entrò e loro iniziarono a prendere in giro il suo aspetto. Per un po’ lui non disse nulla poi andò da loro e, da linguista professionista qual era, gli si rivolse a tono nella loro lingua dicendogli quanto fossero stupidi. Mi identificavo in lui, non ero brutto ma temevo che nella vita, pur dando il massimo, non avrei mai ricevuto alcun riconoscimento.

Il film è dedicato ad Ada Louise Huxtable, giornalista che scriveva di architettura per il New York Times criticando la rigenerazione urbana che Manhattan stava subendo all’epoca del film. In «Sky Socialist 2», la Manhattan del 1964-66 sembra una città distrutta dalle bombe, tra le rovine si vede ciò che rimane della vetrina di un negozio, il Perlstein leather: siamo a New York ma quell’immagine crea una specie di cortocircuito spazio-temporale capace di evocare la Shoah, la spoliazione, la violenza, l’annientamento dei luoghi, delle persone e della loro memoria

È così. Ci potemmo permettere di affittare un loft industriale sotto il ponte di Brooklyn non solo perché l’area era minacciata dalla «riqualificazione urbana» ma anche perché lì si erano concentrate le manifatture di pellame che quando pioveva puzzavano molto. Quando girammo il film quegli esercizi erano per lo più scomparsi, come il Perlstein, o in via di sparizione. A un certo punto si vede la sagoma di una testa di mucca che si proietta dall’ingresso dell’edificio di fronte a quello in cui abitavamo e giravamo. In estate era pieno di zanzare e mosche, che nel film si vedono non appena i personaggi stanno un po’ fermi. Ma eravamo giovani e innamorati e ci adattavamo.

Che emozioni prova oggi nel rivedere le immagini di quella New York?

Viviamo ancora vicino a dove abbiamo passato la nostra giovinezza e non sento alcuna nostalgia rivedendo quelle immagini. Certo, non mi piace l’invasione di grattacieli.

Filma ancora in pellicola?
Non più. Era un mezzo difficile per me che sono dislessico. Oggi il computer ricorda e ordina le cose al posto mio, è come un amico per me. Questo però non vuol dire che avrei potuto effettuare la digitalizzazione del film senza l’aiuto di mia figlia Nissan (Nisi). Tra l’altro anche nostro figlio Azazel, che fa il regista e ora è in Canada per girare un film aboveground (il contrario di underground n.d.a.), è dislessico. Voi normali non sapete che vi perdete…

Che cinema guarda oggi?
Florence e io cerchiamo di seguire ancora quel che esce nelle sale che propongono l’arte per l’arte, incluso il MoMA ma non seguiamo molto le uscite in sala. La maggioranza sono per noi eccessive. Per esempio, a parte Re per una notte, per noi Scorsese è troppo duro. Ogni sera Flo mi chiede: «Hai qualche bel film in b/n o in 4/3?» e dopo un tg ci vediamo un bel film della Hollywood degli anni ’30 pre-Codice Hays. La verità è che continuo a cercare mia Madre, non nei film ma come pubblico che è poi quello di fine anni ’20-inizio ’30. Cerco di vedere quello che vedeva lei e capire cosa ha formato la sua mentalità. Era nata a Brooklyn da genitori immigrati da Odessa, la osservavo disegnare e dipngere prima che morisse terribilmente giovane.