Un vertice storico, quello che si è concluso a Panama sabato notte. Per la prima volta, il VII summit delle Americhe è risultato al completo, per la presenza di tutti i suoi 35 membri. Il rientro di Cuba, esclusa e punita da mezzo secolo di blocco economico imposto dagli Usa, ha costituito la prima novità. La stretta di mano tra Obama e il suo omologo cubano, Raul Castro, ha catalizzato l’attenzione dei media, in attesa del previsto incontro bilaterale fra i due capi di stato, che alla fine si è tenuto. Si è realizzata così la prima riunione formale dai tempi in cui il presidente nordamericano Dwight Eisenhower si incontrò con il dittatore cubano Fulgencio Batista, nel 1958. L’anno seguente, ci sarebbe stata la rivoluzione di Fidel Castro e Che Guevara, ben presto al centro dell’ossessione Usa.

Castro e Obama si erano già stretti la mano durante la cerimonia in omaggio di Nelson Mandela, il 10 dicembre del 2013. A margine del VII vertice, i due si sono invece incontrati ufficialmente, per proseguire le trattative iniziate il 17 dicembre all’Avana per porre fine al bloqueo. Una misura che resta in vigore finché il Congresso, a maggioranza repubblicana, non decide di abolirla. Un percorso tutt’altro che agevole, nonostante l’ammissione di fallimento della misura che ha raccolto consensi trasversali. Ma anche gli anticastristi contano su inveterati sostenitori in entrambi gli schieramenti. Uno di questi, il senatore repubblicano Marco Rubio, ha annunciato la sua candidatura alle prossime presidenziali. Il suo sodale fra i democratici, il senatore Bob Menendez, deve vedersela con 14 capi di imputazione per corruzione, ma intanto ha realizzato una importante vittoria contro il «castro-madurismo»: il decreto che impone le sanzioni al Venezuela di Nicolas Maduro.

La questione è stata al centro del VI vertice e ha costituito il principale ostacolo alla stesura del documento finale e alla pubblicazione degli accordi bilaterali raggiunti. Stati uniti e Canada si sono trovati da soli di fronte al blocco dei 33 paesi che compongono la Celac, la Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici, che – pur nelle differenze di indirizzo politico – ha mostrato il volto di quella America latina protesa verso «una seconda e definitiva indipendenza». Gran parte degli interventi hanno respinto il decreto Usa con il quale Obama ha definito il Venezuela «una minaccia straordinaria e inusuale per la sicurezza nazionale».

Castro ha detto a Obama che l’abolizione del decreto avrebbe contribuito a «far avanzare le relazioni tra i due paesi». In un magistrale discorso, ha toccato tutti i punti di frizione che configurano due modelli di sviluppo antagonisti per le Americhe, e ha ricordato l’eredità di sanguinose ingerenze che grava sulle relazioni di Obama con l’America latina. Raul Castro ha senz’altro deluso chi si aspettava di sentire il de profundis del socialismo e l’apologia del mercato: «stiamo attualizzando il socialismo», ha precisato il presidente cubano, ricordando che i progetti neoliberisti proposti dall’Alca (L’accordo di libero commercio per le Americhe) vennero sconfitti da Chavez, Kirchner e Lula a Mar del Plata nel 2005.

Obama ha scelto di uscire mentre stava parlando la presidente argentina Cristina Kirchner ed è stato assente per tutta la durata del discorso pronunciato da Nicolas Maduro. In contemporanea, ha tenuto un incontro bilaterale con il suo omologo Manuel Santos, il cui paese – insieme a Messico, Cile e Perù – è al centro dell’Alleanza del Pacifico, promossa dagli Usa. Durante il vertice, Santos ha ringraziato per l’appoggio internazionale ricevuto al processo di pace in corso all’Avana tra il suo governo e le due guerriglie, marxista e guevarista.

«Le tendo la mano, presidente Obama, per risolvere le questioni senza interventi negli affari interni», ha detto Maduro, che ha portato al vertice 11 milioni di firme raccolte in Venezuela, e altri 3 a Cuba. Poi, ha definito «cordiale» l’incontro bilaterale avuto con Obama, ma nessun passo concreto si è fatto per ripristinare le relazioni tra Washington e Caracas, benché il Venezuela continui a inviare quasi 800.000 barili di petrolio al giorno negli Usa. Nemmeno si è deciso di togliere Cuba dalla lista dei paesi «finanziatori del terrorismo», nonostante la «raccomandazione» espressa dal Dipartimento di stato alla Casa Bianca. Tantomeno è stata annunciata la riapertura delle due ambasciate. In compenso, pare sicura la visita della presidente brasiliana Dilma Roussef negli Stati uniti, nel 2015 o nel 2016.

Si è concluso invece con una dichiarazione unitaria il Vertice dei popoli. Fra le proposte principali, la rivendicazione dell’autodeterminazione di Porto Rico e il ritiro delle basi Usa dall’America latina, il cui numero è passato da 21 a 76 negli ultimi quattro anni.