Il primo passo dei dissidenti sarà l’uscita dai ranghi di Syriza e la formazione di un autonomo gruppo parlamentare. Parallelamente vedrà la luce, nei tempi rapidi indotti dal precipitare della crisi di governo, quel fronte anti-Memorandum al quale avevano fatto appello, appena una settimana fa, dodici personaggi di altrettante organizzazioni della sinistra istituzionale ed extraparlamentare. Sarà il «nuovo inizio» del quale ha parlato l’altro ieri il leader della Piattaforma di sinistra Panaiotis Lafazanis, una forza politica «di sinistra e patriottica» che si rivolgerà a tutto il popolo che ha votato «no» al referendum. Le parole durissime dell’ex ministro dell’Energia hanno rappresentato forse la goccia che ha fatto traboccare il vaso per Alexis Tsipras, inducendolo a rompere gli indugi e spiazzare tutti indicendo elezioni anticipate subito dopo aver rimborsato 3,2 miliardi di euro alla Bce e aver ricapitalizzato le banche per dieci miliardi, mettendo in sicurezza la Grecia. «Il governo ha voltato le spalle ai principi e alle lotte di migliaia di membri e funzionari di Syriza, nonché alle speranze del mondo democratico progressista», aveva detto Lafazanis.

Una rottura che era nell’aria, che spacca trasversalmente Syriza e provocherà lacerazioni umane forti e problemi pratici di non poco conto, per un partito all’antica, composto di sezioni e militanti, molto radicato nei quartieri così come nelle organizzazioni sociali (basti pensare alle decine di ambulatori e farmacie autorganizzate nate negli anni della crisi). Non è solo una forza politica che va in crisi, ma un modello vincente sia sul piano interno che per le riemergenti sinistre europee: una coalizione «polifonica e contraddittoria» come amavano definirla, capace in pochi anni di diventare il primo partito della Grecia.

A poco è servito l’appello del novantaduenne ex partigiano Manolis Glezos, che pur criticando radicalmente le decisioni della dirigenza aveva invitato il partito a «rinsavire» e discutere, convinto che un punto di mediazione si sarebbe trovato. Con chi si schiererà ora l’uomo che tirò giù la bandiera nazista dal Partenone? Cosa faranno la Presidente del Parlamento Zoe Konstantopoulou e l’ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, ipercritici con il Memorandum firmato? Nomi pesanti che potrebbero fare la differenza, se schierati dall’una o dall’altra parte. La decisione di Tsipras ha spazzato via pure i pontieri del partito, chi pensava fosse ancora realizzabile la missione impossibile di mantenere unita la Coalizione della sinistra radicale. Ora sono chiamati tutti a schierarsi o a tirarsi indietro, come ha annunciato ieri la deputata Maria Kanellopoulos, che non si ricandiderà perché «non voglio partecipare all’inevitabile guerra civile tra eserciti di parte che si scatenerà» e, dice, tornerà all’attivismo sociale. Le due Syriza si divideranno senza neppure confrontarsi in un congresso: chiesto da Tsipras all’indomani dell’Eurogruppo del 12 luglio (quello del «waterboading mentale»), è rimasto stritolato dal muro contro muro e dalla probabile diserzione della sinistra interna. «Perché un’elezione indetta ad agosto, a tempo di record?» si chiedeva ieri il sito Iskra, house organ  della minoranza, «la ragione è semplice e intuitiva: il governo è preoccupato per le conseguenze del Memorandum, che si faranno sentire giorno dopo giorno. Ma c’è un altro motivo non trascurabile: sorprendere la Piattaforma di sinistra, che non ha avuto il tempo di prepararsi alle elezioni, e sbarazzarsi del no al referendum».

Chi non si dichiara sorpreso è l’inossidabile Kke: anche il segretario del partito comunista Koutsoubias ha detto che un voto a così breve termine serve per non far organizzare gli avversari, ma loro si dicono «pronti in qualsiasi momento». D’altronde sono stati tra i pochi a non andare in vacanza neppure un giorno: i suoi militanti affiliati al sindacato Pame sono scesi in piazza sia nel giorno del voto del primo accordo, a luglio, che in quello di ferragosto sul Memorandum.
Ma a preoccupare lo staff di Tsipras, e forse a spingerlo a forzare i tempi, sono soprattutto i sondaggi: l’ormai ex premier è ancora forte, ma i consensi sarebbero un po’ in calo e l’applicazione delle

misure più dure del Memorandum rischierebbe solo di nuocergli.  Da qui la decisione di  giocare d’anticipo e chiedere ai greci un consenso pieno.