Sono stati gli intensi quattro minuti di Omaggio alla Sardegna nella puntata di Ballarò del 19 novembre, a farmi tornare in mente un libro sottovalutato. L’isola era ancora sommersa dalle acque e devastata da crolli e frane, si contavano i morti e il flicorno di Fresu con le parole di Marcello Fois tessevano un dolente, profondo tributo alla loro terra ferita.

In Sardegna. Un viaggio musicale (di P. Fresu, Feltrinelli, 2012) è una delle testimonianze di !50 anni suonati (ci sono anche il documentario di Marthe Le More e i cd pubblicati da La Repubblica), il progetto che ha visto il trombettista di Berchidda suonare per cinquanta giorni consecutivi in altrettanti luoghi della Sardegna: dall’ ex caseificio La Berchiddese il 12 giugno 2011 (con il quintetto storico e la Banda musicale De Muro) al solo nel teatro lirico di Cagliari. Da molti quest’impresa è stata vista come un atto di narcisismo, quasi un «pantagruelismo sonoro» in tempi di crisi. A tanti è sfuggito l’intreccio tra luoghi, tecnologia, ecologia, passato, presente, futuro che ha ispirato Fresu e che nel testo, oltre al diario delle performance, trova spazio nella sua complessità.

Partito dall’idea di «confine» e da quella collegata di «viaggio», il jazzista afferma che ««il termine confine per me sa di Sardegna. Perché è un avere continuamente a che fare con perimetri, bordi e tangenti che sono propri dell’insularità e racchiudono segni e sensi linguistici e antropologici, sociali ed economici, faunistici e topografici. Sono dunque altrettanti confini di una Sardegna continentale fatta di volti e di parlate, di sapori e di odori, di colori e di pensieri che cambiano repentinamente da bidda a bidda e da città a città» (p.12). Citando un suo articolo uscito su La Nuova Sardegna Fresu racconta di aver avuto «la grande fortuna di nascere in Sardegna (…) È la campagna di Berchidda ad avermi forgiato ancor prima della musica. La sua lingua ad avermi suggerito valori e tradizioni che ho potuto convertire in suoni ed emozioni».

A 50 anni Paolo Fresu sottolinea l’esigenza interiore di «mettere la musica al servizio della vita, per provare nel mio piccolo a migliorarla utilizzando lo strumento che meglio conosco: il suono (…) A volte lancinante per raccontare questo momento così difficile (per la nostra isola e il mondo più vasto) e a volte tenero per provare a rendere il meglio che c’è dentro di noi » (p.13) È una Sardegna poco conosciuta quella che emerge dal viaggio di !50 suonati ed allarga a dimensione insulare ciò che il jazzista ha fatto dal 1988 con il festival Time In Jazz.

Un viaggio che parla di solidarietà, rispetto e amore per il territorio, turismo responsabile, risparmio energetico, attenzione per i sofferenti ed i malati, poesia: tutto il contrario di una politica che ha saccheggiato, svenduto, snaturato e cementificato parte della Sardegna, fino alla tragica giornata del 18 aprile scorso.

luigi.onori@alice.it