La giornataccia di Benyamin Netanyahu era già iniziata male. Prima che il procuratore generale israeliano Avichai Mandelbit chiedesse ufficialmente l’incriminazione del premier israeliano per corruzione, era stata l’Onu ad accusarlo di ben altri crimini.

Crimini di guerra e crimini contro l’umanità: di questo si sarebbe macchiato lo Stato di Israele nel corso dell’ultimo anno contro la Striscia di Gaza.

È il risultato dell’inchiesta della Commissione indipendente del Consiglio Onu per i diritti umani su quanto avviene da quasi un anno lungo le linee di demarcazione tra Gaza e Israele. Ovvero la repressione della Grande Marcia del Ritorno, l’iniziativa lanciata il 30 marzo 2018 per rivendicare il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi (sancito dalla risoluzione Onu 194 del 1948) e per porre fine all’assedio israeliano, ininterrotto da 12 anni.

Secondo l’indagine Onu il fuoco aperto in modo indiscriminato su civili disarmati dai cecchini israeliani può configurarsi come crimine di guerra. Gli effetti sono devastanti: oltre 250 uccisi (di cui 48 bambini) e più di 26mila feriti, molti resi disabili a vita in un pezzo di terra, Gaza, dove il sistema sanitario è già al collasso a causa dell’assedio, della carenza di medicinali e di corrente elettrica. Si vive con due-quattro ore di elettricità al giorno.

Non solo: la commissione (il cui rapporto basato su interviste, video, documenti medici e riprese dai droni copre fino al 31 dicembre) è in possesso dei nomi dei responsabili: dei cecchini che materialmente uccidono persone e dei generali che fin da subito (su ordine del governo di Tel Aviv) hanno adottato la politica brutale dello shoot to kill, sparare per uccidere: «La commissione ha prove ragionevoli per ritenere che i cecchini israeliani sparino a giornalisti, paramedici, bambini e disabili, pur avendoli riconosciuti come tali». «Hanno intenzionalmente sparato a minori – spiega una dei membri della commissione, Sara Hossain – Hanno intenzionalmente sparato a disabili e giornalisti».

L’individuazione dei colpevoli permetterebbe di condurli di fronte a un tribunale internazionale, scrive la commissione invitando l’Alto commissario ai diritti umani dell’Onu, Michelle Bachelet, a condividere tale rapporto con la Corte penale internazionale. Identica richiesta è giunta ieri dal presidente dell’Anp, Abu Mazen: «È tempo di considerare Israele responsabile di questi crimini – ha scritto in un comunicato – Nessun paese dovrebbe essere al di sopra della legge. [Il rapporto] dimostra quello che abbiamo sempre detto, che Israele sta commettendo crimini di guerra contro la nostra gente, a Gaza e in Cisgiordania».

L’ira israeliana è esplosa subito: Netanyahu ha accusato l’Onu di «ipocrisia e falsità fomentate da un ossessivo odio verso Israele, la sola democrazia del Medio Oriente». «Israele non può vedersi negato il diritto a difendersi», ha aggiunto il ministro degli esteri ad interim Katz, ribadendo la narrazione israeliana dell’ultimo anno, la «minaccia» rappresentata da civili disarmati a centinaia di metri di distanza da soldati, civili o infrastrutture israeliane.

Eppure l’Onu denuncia una realtà già nota a chi da mesi segue la Marcia del Ritorno, organizzazioni internazionali che accusano Tel Aviv di un uso della forza indiscriminato e immotivato. Tra queste Amnesty che ieri descriveva l’operato israeliano come «una crudele e spietata mancanza di rispetto del diritto internazionale».