Tutto era cominciato intorno al 2014 quando, nel pieno della sua attività da lavapiatti in un locale di Fourth Worth, venne scoperto da un discografico curioso che lo apprezzò in una esibizione locale, quasi familiare al dire il vero a causa della poca gente che popolava il locale. Un anno dopo il suo primo disco, Coming Home, fece gridare un po’ tutti al successo. Meno Good Thing che arrivò tre anni dopo, complice un terreno da esplorare, quello del soul e del R’n’B che aveva già investigato a fondo in precedenza. Di lui parlarono bene un po’ tutti all’esordio: mise d’accordo i critici del New York Times, convinse NPR a farlo esibire in un meraviglioso concerto intimo per la serie Tiny Desk Concert. Ma persino Pitchfork, snob e chic solitamente, lodò a lungo il giovane afroamericano. Arriva oggi, nel periodo più buio per la sua generazione, Gold-Diggers Sound (Columbia Records/Sony Music). Da quelle radici R ’n’ B di riferimento, soprattutto sviscerate dalla sua ugola passionale, vibrata, calda, sexy, travolgente, Bridges si allontana spesso, complice il suo invaghimento per i nuovo suoni che provengono dalla fertile scena di Los Angeles che ha spesso frequentato – per quanto possibile – a ridosso della pandemia. Il jazz sperimentale di Flying Lotus e di Thundercat, l’hip hop narrativo di Kendrick Lamar sono solo alcune delle più evidenti fonti di ispirazione del cantante texano.

CANTA MORBIDO, sorvola le note e le parole di Motorbike (con tanto di video alla cui regia ha fortemente voluto Anderson.Paak per una storia liberamente ispirata a quella di Bonnie e Clyde) e Why Don’t You Touch Me come fosse un giovane Al Green. Poi si concede di ricordare l’uccisione terribile di George Floyd intonando le note dolenti dell’intero popolo neroamericano in Sweeter, brano che ha cantato pubblicamente per la prima volta alla Democratic National Convention. Ma la rotta cambia decisamente qua e là. Vagamente elettronico, a tratti futuristico, persino afro nell’utilizzo delle percussioni, senza mai esagerare.

NATO NELL’AMBITO di alcune serate jam session con suoi amici e compagni di concerti a Los Angeles prima che il covid interrompesse le nostre vite, lo ha trasferito e riprodotto quasi naturalmente in studio. Diverse le collaborazioni: c’è il produttore Terrace Martin (già con Kendrick Lamar, Snoop Dogg, Raphael Saadiq) e persino Stevie Wonder; c’è Ink ma c’è soprattutto il talento indiscutibile del pianista Robert Glasper.