I custodi del rigore in Italia colpiscono ancora. Ma questa volta il loro giudizio tecnico paradossalmente si politicizza, perdendo di valore. Tocca ancora una volta alla Ragioneria generale dello Stato bloccare sul nascere ogni possibilità di modificare la riforma Fornero delle pensioni. Davanti alla richiesta bipartisan – oltre che di tutti i sindacati – di congelare il prossimo scatto dell’adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita, l’«organo centrale» per «la rigorosa gestione delle risorse pubbliche» che fa capo al ministero dell’Economia risponde duramente. Nel rapporto su «Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario» reso pubbliche ieri la contraerea è schierata in forze: a pagina 72 un’intero paragrafo ha già l’esplicativo titolo «Effetto degli automatismi del sistema pensionistico sulla sostenibilità della spesa per pensioni». Qui vengono prese in esame tutte le possibilità di modifica dell’adeguamento all’aspettativa di vita: «soppressione», il peggiore, seguito da «limitazione», «differimento», «dilazionamento», ma tutte «determinerebbero comunque un sostanziale indebolimento della complessiva strumentazione del sistema pensionistico italiano». Per poi arrivare al clou: «in quanto verrebbe messa in discussione l’automaticità ed l’endogeneità degli adeguamenti stessi, per ritornare nella sfera della discrezionalità politica con conseguente peggioramento della valutazione del rischio Paese». Tradotto, se la politica decide di cambiare quanto chiesto nel 2011 dalla Bce e dalla Commissione europea si tornerebbe al rischio default. Parole che in una democrazia dovrebbero essere considerate al limite dell’eversivo, degne di una tecnocrazia autoritaria.
Come detto, la reazione al cambio di clima politico e sociale è scomposta. Anche perché nelle stesse pagine si ammette implicitamente come il nostro paese abbia la regolamentazione più stringente in Europa. Si legge infatti alle pagine 70 e 71: «Alcuni paesi, come Svezia, Germania, Finlandia, Portogallo, Spagna hanno introdotto meccanismi di adeguamento automatico rispetto alle variazioni della speranza di vita. Altri ancora, come Danimarca e Grecia, hanno previsto meccanismi di adeguamento in funzione dell’allungamento della sopravvivenza. In tale contesto – ecco la rivelazione – l’Italia si contraddistingue in quanto gli automatismi sono entrambi vigenti e operano in modo coordinato». Insomma, abbiamo le regole più ferree ma non possono cambiarle.
Per non rischiare il rapporto mette comunque le mani avanti in fatto di pensione di vecchiaia (l’unica possibilità per giovani e i trenta-quarantenni attuali) annunciando un cavillo legislativo: anche in presenza di un blocco dell’adeguamento automatico alla speranza di vita previsto per il primo gennaio 2019 «verrebbe comunque adeguato a 67 anni nel 2021, in applicazione della specifica clausola di salvaguardia prevista dall’articolo 24, comma 9 della legge 214/2011 (la conversione in legge del «SalvaItalia» Monti Fornero, ndr) «introdotta nell’ordinamento su specifica richiesta della Commissione e della Bce, e successivamente mantenuto costante a tale livello».
Per il resto, il rapporto – come sempre impersonale e non firmato (si sfida chiunque a ricordare il nome del Ragioniere centrale, è Daniele Franco dal 20 maggio 2013, o una sua uscita pubblica) – misura in soli 62,4 anni l’età media di uscita nel 2016. Difatti si accusa perfino l’attuale governo di essersi mosso «in controtendenza»: «per la prima volta dopo oltre 20 anni il pacchetto di misure riguardanti il sistema pensionistico (Ape, precoci e usuranti, ndr) ha previsto un ampliamento della spesa». Rischia però di essere l’ultimo.