Le ultime ore di vacanza il gruppo le ha passate sulle coste della Puglia, rasentando il tavoliere tra strisce di campi coltivati e muri a secco, e canneti troppo bassi per oscurare ai villeggianti la memoria del mare. Pare di avvertire in comitiva un po’ di frenesia. Re Fernando, per esempio, da prima mette il capo avanti, con l’obiettivo di raccattare punti al traguardo intermedio di Manfredonia. È evidente che ci tiene al suo mantello colore dei ciclamini. Ma poi, magnanimo, desiste, perché questa non è la sua guerra. Dal Gargano in poi, infatti, la costa si macchia di mediterraneo e si frastaglia, in un interrotto mangia-e-bevi fino alla linea del traguardo, disegnata su una rampa sopra Peschici.

Un po’ per permettere a capitan Nibali di lavarsene le mani, ma soprattutto perché ha la gamba, attacca Giovanni Visconti su per monte Sant’Angelo. Duellanti fin da ragazzini, uno da Messina e l’altro da Palermo, in questo scorcio di carriera i due hanno dato retta a Cesare e hanno unito le forze e gli sforzi. Nella fuga anche Quintana mette uno dei suoi, il basco Gorka Izaguirre: che controlli che aria tira, poi, se capita, si farà valere in proprio.

Il più generoso della compagnia è Valerio Conti, che capitombola però a due curve dal traguardo, lasciando i due luogotenenti a darsi battaglia e a fronteggiare il gruppo che rinviene. Proprio Izaguirre, in fuga per dovere più che per piacere, è il più lesto a emergere dal parapiglia e blocca la rimonta di Visconti. Coglie lui l’alloro e lascia ancora gli italiani a bocca asciutta. Un record, dopo otto tappe. Battaglia la dette, più giù nel tavoliere, Giuseppe Di Vittorio, un cafone di Cerignola che insegnò alla sua stirpe a non levarsi il cappello al passaggio dei signori. Il sistema di leghe contadine, di case del popolo, di municipi rossi che prima del fascismo prese campo da queste parti ebbe poco da invidiare a quello padano, ma l’incapacità del riformismo socialista di far parlare la stessa lingua al bracciante e al cafone contribuì non poco all’affermarsi del regime. Lo aveva già capito Salvemini, deputato di Molfetta (oggi sede di partenza), e ancor di più Gramsci, che proprio da Salvemini trasse ispirazione per fondare l’Unità.

Nel dopoguerra la subcultura rossa riemerse con orgoglio. Chissà come ci rimasero quelli della delegazione del Pci di Foggia al Giro del ’47, quando Coppi ringraziò cordiale ma consigliò di deporre alla Madonna il fascio di rose rosse che gli avevano allestito.