Con Siria e Turchia a un passo dal conflitto, Ankara e Mosca abbandonano i toni cauti delle rispettive diplomazie seguiti fino ad oggi dopo i violenti scontri iniziati a gennaio tra gruppi dell’opposizione islamista filo-Erdogan e esercito regolare siriano. E si accusano reciprocamente di volere una escalation.

A dar fuoco alle poveri ci aveva pensato già in mattinata il presidente turco accusando apertamente il governo del leader siriano di Bashar al-Assad e le forze armate russe di agire di conserva nell’attacco ai civili di Idlib. «A Idlib il regime, le forze russe e i militanti sostenuti dall’Iran stanno attaccando la popolazione civile», ha detto il leader della Mezza Luna. Erdogan ha anche minacciato che se un solo soldato turco a Idlib sarà ancora ferito «spareremo dappertutto, senza essere vincolati dai confini del memorandum di Sochi».

Lo fa già: martedì, vicino Neirab, gli islamisti hanno abbattuto un Mi17 siriano di fabbricazione russa. Il sistema di difesa, dicono fonti a Middle East Eye, lo avrebbe fornito la Turchia. Che è pronta a fornire altro supporto e ad abbatterne di altri, dice Erdogan affermando che sarebbero 14 i soldati turchi uccisi nella provincia nord-ovest siriana negli ultimi giorni, 45 i feriti.

Una ricostruzione rigettata dai capi del quartier generale del coordinamento della Federazione e della Siria sul ritorno dei rifugiati, secondo cui più di 150 civili sono morti in Siria a gennaio a seguito dei bombardamenti del gruppo Hayat Tahrir al-Sham (l’ex al-Nusra, la al Qaeda siriana).

In questo quadro «le azioni delle truppe siriane nella provincia di Idlib sono una risposta alle continue provocazioni dei terroristi», afferma la nota congiunta. La reazione russa alle accuse di Erdogan non si è fatta comunque attendere.

Dmitry Peskov, portavoce del presidente russo ha replicato: «La Turchia si era impegnata a neutralizzare i terroristi, questi continuano ad attaccare le truppe siriane e le strutture militari russe, è inaccettabile».

Ancora più netta la numero 2 del ministero degli esteri, Marya Zacharova: «Le ragioni del degrado che osserviamo in questi giorni sono dovute alla cronica incapacità della Turchia ad adempiere ai suoi obblighi del memorandum di Sochi del 2018 e del trasferimento da parte di Ankara delle unità controllate della cosiddetta opposizione moderata armata nel nord-est della Siria».

Con una regione in tumulto le alleanze sembrano forgiarsi e dissolversi in un battito di ciglio: era solo qualche settimana fa, ma sembrano anni, che Putin ed Erdogan difendevano il progetto comune Turkish Stream dagli attacchi di Trump e speravano di trovare il bandolo della matassa della pace in Libia sotto la loro egida.

Nel pomeriggio il sito della presidenza russa ha informato laconicamente di una telefonata tra Putin e Erdogan in cui si parla genericamente «di lavorare alla pace». Troppo poco dopo le violente dichiarazioni delle due parti di ieri mattina.

In questa linea di faglia intende inserirsi la Casa bianca dopo mesi di gelo con Ankara. «Siamo impegnati a sostenere la Turchia, chiediamo alla Russia di smettere di sostenere Assad», ha dichiarato il rappresentante permanente Usa alla Nato, Kay Bailey Hutchison.