Draghi non aveva dubbi: fiducia sul dl Ucraina per disinnescare la mina 5S sull’aumento delle spese militari. Opinioni diverse al Nazareno, dove si ritiene molto meglio strappare una mozione unitaria anche a costo di arrampicarsi sugli specchi: i miliardi aggiuntivi saranno spesi tutti per la tecnologia e non per le vere e proprie armi. Una presa in giro ma tant’è. Le differenti «opzioni preferite» del premier e del segretario del Pd riflettono preoccupazioni diverse. A palazzo Chigi brucia ancora l’esperienza dei primi giorni di guerra, quando Draghi si è trovato preso di mira perché sospetto di cedevolezza. Il guaio è stato in parte riparato ma l’Italia resta sotto sorveglianza: meglio rischiare la divisione della maggioranza in commissione, sull’ordine del giorno FdI, che non in aula. Un voto differenziato in commissione è trascurabile. In aula sarebbe più serio.

Le preoccupazioni di Letta sono parzialmente diverse. Ieri tra i due partiti alleati i toni si sono alzati, con un nutrito scambio di accuse reciproche. Il Pd non teme una spaccatura immediata: il prossimo appuntamento sono le amministrative, dove il peso contrattuale dei 5S è vicino allo zero, e la prova vera, quella delle politiche, nelle circostanze date è lontanissima. Ma Letta sa di dover fare i conti con una fronda interna che mal sopporta sin dall’inizio l’alleanza con i 5S e che conquisterebbe un argomento pesante se su un tema così nevralgico non si riuscisse a trovare un punto di mediazione.

Il Pd spera e scommette sull’ipotesi che a spingere improvvisamente Conte verso la linea rigida sia stata la necessità di fare il pieno nella consultazione interna ai 5S. Secondo quegli auspici già oggi, a urne chiuse e nell’incontro con Draghi, l’ex premier potrebbe rivelarsi molto più malleabile. Non è impossibile che le cose vadano così ma non è neppure facile. Nel braccio di ferro sulle spese militari emerge infatti un disagio che covava da tempo e si era già rivelato nella partita del Quirinale: l’insofferenza dei 5S nei confronti di un Pd che si considera come tolda di comando dell’alleanza e si comporta di conseguenza, trattando i 5S da forza vassalla. Il terreno delle spese militari è per Conte ideale: compatta il Movimento su una linea condivisa da buona parte degli elettori e dal papa, dunque al riparo da accuse di populismo, disfattismo o simpatie per Putin.

E il rischio di crisi, trattandosi solo di odg e nulla di più, è inoltre di fatto inesistente. Quella minaccia potrebbe però concretizzarsi tra pochi giorni, quando il governo varerà il Def e la maggioranza dovrà sostenerlo con una risoluzione parlamentare. Il Documento dovrà ufficializzare e quantificare l’incremento per la spesa militare di quest’anno e l’impossibilità di sottoscrivere una risoluzione comune, magari scontando il dissenso anche della Lega oltre che dei 5S, sarebbe deflagrante. Molto più che non gli odg della discordia sarà su quel punto che Draghi cercherà oggi di riportare all’ordine il dissenso del suo predecessore. La chiave sta nella parola ripetuta anche ieri dal ministro della Difesa Guerini: «Gradualità». Nel Def si fisserà un principio ma limitando al massimo l’esborso concreto. Conte dovrebbe accontentarsi, pena una rottura irrecuperabile con il Pd

Probabilmente sarà così ma si tratta di classiche soluzioni all’italiana, basate sulle sfumature e sulla distinzione tra realtà e apparenza. È l’eterna formula magica della politica italiana ma quanto possa reggere la «normale» ambiguità in una situazione che non ha nulla di normale è molto incerto.