«Per la prima volta da mesi, l’Europa ha visto un aumento del numero dei casi settimanali». Lo ha detto il direttore della sezione europea della Oms Hans Kluge ieri in una conferenza stampa a Copenaghen, riferendosi ai dati della settimana scorsa e invitando a non abbassare la guardia.

La pandemia non è finita, e nonostante la zona del mondo oggi più problematica sia quella delle Americhe (soprattutto Usa, Brasile, Messico), anche in Europa il virus è presente e continua a colpire duro: ogni giorno si registrano 20mila nuovi casi e oltre 700 decessi, hanno fatto sapere dall’Oms. Il che porta il totale dei casi del continente a più di 2 milioni e mezzo. Nel mondo si sono già superati i 9 milioni di casi e i 400mila morti. La pandemia continua a accelerare, come dimostrano i 183mila casi registrati in sole 24 ore, domenica.

«Per settimane ho parlato di questo rischio e in diversi paesi in Europa, questo rischio è diventato realtà: 30 paesi hanno visto un aumento di nuovi casi cumulativi nelle ultime due settimane», ha detto Kluge. E ha aggiunto: «In undici paesi, l’accelerazione della trasmissione ha portato a un’impennata molto significativa che, se non controllata, spingerà ancora una volta i sistemi sanitari sull’orlo del precipizio in Europa», senza nominare nessun paese in particolare. Ha poi lodato alcuni paesi, come Spagna, Polonia, Germania e Israele che hanno reagito «prontamente» all’insorgere di nuovi «pericolosi focolai» in «scuole, miniere di carbone e nei siti di produzione alimentare».

Alla Spagna ha anche dedicato un tweet: «Incredibile progresso nella risposta al Covid sotto la guida del ministro della sanità Salvador Illa. 1% di tasso di positivi, 60% nuovi pazienti attraverso il tracciamento dei contatti, crescita della capacità di fare test. Bravo. La vigilanza verso i mini focolai è la nuova realtà. Pieno sostegno dell’Oms», ha scritto dal suo profilo personale.

Non ci sono dubbi sulla seconda ondata in autunno: «Ancora oggi abbiamo picchi di contagi nella prima ondata in molti paesi. Siamo ancora nella prima ondata, ma dobbiamo prepararci per l’autunno, quando il Covid-19 incontrerà influenza stagionale e polmoniti. Il virus circola ancora attivamente, e non abbiamo farmaci e vaccini specifici efficaci».

Secondo Kluge la tecnologia può giocare un ruolo importante per seguire i casi sospetti. La tecnologia digitale e l’intelligenza artificiale «hanno dimostrato di essere strumenti potenti per combattere il virus», ha riferito. Anche se non ha evitato di menzionare le crescenti perplessità che suscitano le varie app di tracciamento dei contatti che sono state proposte. «Puntate sul digitale, ma in maniera saggia – ha detto – con attenzione e oculatezza». «È una questione di fiducia» ha ricordato, perché «gli strumenti digitali si basano sulla fiducia» verso le istituzioni ed è «responsabilità dei governi affrontare i problemi di proprietà, uso, consenso e protezione dei dati». Per ultimo Kluge ha menzionato il digital divide, per tutte quelle persone che non possono permettersi la “salute digitale” perché non possono accedere alle tecnologie necessarie per combattere il virus, ricordando che in Europa solo fra il 74% e l’87% delle famiglie ha a disposizione un accesso a internet. «Dobbbiamo creare una cultura europea della salute», ha concluso.