Servono correttivi alla riforma della prescrizione che, altrimenti, rischia di affogare il settore penale della Cassazione, dove attualmente i faldoni si smaltiscono in sei mesi. A dare l’allarme è stato ieri il primo presidente della Suprema Corte, Giovanni Mammone, durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario. La norma bandiera del ministro Alfonso Bonafede può far crescere di circa 20-25mila cause l’attuale mole di lavoro: si tratta infatti dei processi destinati a prescriversi in appello e che adesso invece sopravvivranno. «Ne deriverebbe un significativo incremento del carico penale vicino al 50% – ha spiegato Mammone – che difficilmente potrebbe essere tempestivamente trattato nonostante l’efficienza delle sezioni penali della Corte di Cassazione, le quali definiscono già attualmente circa 50mila procedimenti annui».

PER VELOCIZZARE I PROCESSI, è l’indicazione del presidente, sarebbero necessari «correttivi» per accelerare la fase delle indagini e dell’udienza preliminare. Il procuratore generale, Giovanni Salvi, ha poi sottolineato: «Il 21% dei processi si conclude con l’assoluzione, un dato ben diverso da quello da cui ha preso le mosse il dibattito politico, che indicava la cifra infondata del 50%. Comunque, finché la prescrizione sarà non un evento eccezionale ma un obbiettivo da perseguire, nessun rito alternativo sarà appetibile», ha aggiunto Salvi mettendo però in guardia da politiche securitarie, anticamera del «governo della paura».

Il ministro della giustizia Bonafede ha replicato con diplomazia: «È in atto un confronto all’interno della maggioranza per superare le divergenze e consegnare ai cittadini un processo con tempi certi, eliminando le impunità». Il presidente del Consiglio nazionale forense, Andrea Mascherin, ha ribadito: «Ci separa dal ministro la sua posizione sulla prescrizione penale, di certo non possiamo permetterci l’indeterminatezza dei tempi». L’Anm, con il segretario Luca Poniz, ha commentato: «La riforma può disincentivare i ricorsi strumentali» avvertendo però che terrà una «posizione ferma, senza mediazione» contro le sanzioni ai magistrati che sforano i tempi delle fasi processuali.

LE VOCI CRITICHE come è noto non mancano anche nello schieramento che regge il governo. Maria Elena Boschi di Italia viva: «Spero che la maggioranza ritrovi ragionevolezza a cominciare dal Pd, che non ha votato la riforma Bonafede, a cui chiediamo di non inseguire il M5S sul giustizialismo». Il capogruppo dem Andrea Marcucci ha invitato il ministro Bonafede ad ascoltare la Cassazione: «Il blocco della prescrizione potrebbe mandare in crisi l’intero sistema della giustizia».

L’IMPENNATA DEI RICORSI dei migranti per ottenere la protezione internazionale è un altro tema messo sul tavolo da Mammone: «Per effetto del decreto legge 13 del 2017 (voluto dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, ndr) le impugnazioni in materia di protezione internazionale, prima diluite tra le Corti di appello, sono affluite tutte in Cassazione, gravando oltre modo la corte di legittimità». Era stato proprio il ministro dem a cancellare la possibilità di fare appello per velocizzare i dinieghi. Il risultato è nei numeri: i ricorsi sono stati 856 (il 2,8% del totale) nel 2017, poi 5.221 (14,1%) nel 2018, per lievitare a 10.366 (26,7%) nel 2019. In affanno è comunque l’intero comparto civile, dove sono pendenti in totale oltre tre milioni e 312mila cause.

ANCHE SALVI ha affrontati il tema migranti con un occhio anche ai decreti Salvini: «Le scelte sulle politiche di ingresso competono al legislatore e al governo, purché nel quadro di compatibilità con le norme costituzionali e pattizie, prima tra tutte l’obbligo che il nostro paese ha assunto per la protezione internazionale.

Se di sicurezza si parla, è bene che sia valutato l’effetto criminogeno e di insicurezza che discende dalla mancanza di politiche razionali per l’ingresso legale e per l’inserimento sociale di coloro che si trovano nel paese». E ancora: «L’esperienza che si è fatta con il lavoro nero in agricoltura e con il crescere di forme di oppressione persino oltre il caporalato, dovrebbe essere messa a frutto. Gli agglomerati spontanei di lavoratori, privati di un contratto e di un trattamento dignitoso, sono una vergogna e una grave minaccia per la sicurezza».

INFINE, CALANO gli omicidi (297 nel 2019), dato inferiore alla media Ue, ma restano pressoché stabili i femminicidi: 131 nel 2017, 135 nel 2018 e 103 nel 2019. Per mano di partner, mariti e fidanzati, vengono commessi oltre l’85% dei delitti con vittime femminili. Nel 28% dei casi ci sono stati precedenti maltrattamenti come violenze fisiche, stalking e minacce. «Aumenta il dato percentuale rispetto agli omicidi in danno di uomini in maniera davvero impressionante», ha sottolineato Salvi. Sul Codice rosso Mammone ha commentato: «L’intervento in favore delle vittime deve interessare le strutture giudiziarie, quelle pubbliche, private e sanitarie con un credibile soggetto di coordinamento».