In concomitanza con l’attuale mostra che celebra Arturo Martini al Palazzo Fava di Bologna (Arturo Martini. Creature, il sogno della terracotta, visitabile fino al 12 gennaio 2014), Nico Stringa, docente di Storia dell’arte contemporanea all’Università Ca’ Foscari di Venezia ed esperto studioso dell’artista trevigiano, ha voluto far rivivere nuova fioritura al libro Contemplazioni.
Era il 1918 quando Martini pubblicava presso la Tipografia Lega di Faenza il piccolo volume. Il famoso scultore aveva creato e stampato con tecnica xilografica (ossia da incisione in legno) quest’opera importante, precorritrice di quel tipo di sperimentazione che vedrà il libro come luogo della ricerca e non più solo come contenitore della comunicazione.
Si è parlato, a proposito della grafica di Martini, di «indipendenza concettuale» rispetto ai problemi della scultura, di quella sua produzione complessa, eterogenea, nelle tecniche più disparate (pietra, bronzo, terracotta, legno, ceramica, ecc.), capace di coniugare in felicissime contaminazioni classici ed etruschi, maestri del romanico e del Quattrocento toscano; le radici italiche con l’«arte negra», sotto quel segno di primitivismo arcaico tipico della figurazione tra le due guerre.
Si assiste spesso in Martini a una duplicità di espressione, poiché il carattere aneddotico, fiabesco della sua scultura incontra sovente la purezza epica, l’universalità del mito. Ciò a ben vedere si può riscontrare anche nel piccolo Contemplazioni, dove il tono elevato, ascetico di questa astratta «preghiera» spirituale si abbassa a parlare un linguaggio povero, disadorno, mediante il segno forte, espressionistico della xilografia.
Quest’opera è composta da una sequenza di valori ritmici, semplificati, privi di riferimenti verbali. Si tratta di una scrittura «muta» che tuttavia rimanda al linguaggio musicale, nelle linee orizzontali intervallate da tacche nere e da spazi bianchi, alludenti al pentagramma, alle «brevi» medievali, ai tasti neri del pianoforte. Qui il libro, il primo completamente asemantico della storia dell’arte, parla il suo proprio linguaggio, si emancipa dal ruolo di veicolo e reinventa la scrittura.
Venne ispirato a Martini dalla lettura del mistico olandese Jan van Ruysbrock in un momento di «concentrazione religiosa» ed è probabilmente un ex-voto esistenziale, non solo personale, legato allo scampato pericolo al termine del primo conflitto mondiale. Nella prima pagina si trova una sorta di logo alfabetico costituito dai segni alfa e omega all’interno di un circolo: come a rimandare al ciclo continuo del tempo infinito.
Fu lo stesso Martini, dopo la prima edizione del libretto, a realizzarne due ristampe: nel 1937 presso la Tipografia Vera di Milano, e nel 1945 alla Tipografia Ferrari di Venezia. Nel 1967, il noto editore milanese Scheiwiller pubblicava la prima edizione postuma.
L’attuale quinta edizione, oramai quarta ristampa, realizzata in collaborazione con la Biblioteca civica di Treviso, è introdotta da una chiara e concisa spiegazione firmata da Stringa, curatore della mostra in corso, e da Mirella Bentivoglio che, specializzata nella teorizzazione del libro d’artista, ha incluso l’anticipatore volumetto in numerose rassegne del settore, come la grande retrospettiva del Moma di New York (1992).
Rispetto alle precedenti ristampe, questa presenta dimensioni del formato leggermente ridotte poiché si è voluto riproporre esattamente l’edizione originale, conservata in una rara copia superstite nel Fondo Natale Mazzolà della biblioteca trevigiana.